A chi giova l’omicidio di Nemtsov? Mentre sono attesi per oggi, al cimitero Troekurovskij di Mosca, i funerali del leader dell’opposizione liberale Boris Nemtsov, poche novità sul fronte delle indagini sul suo assassinio. La 23enne ucraina, da tre anni compagna della vittima, sembra cominciare a ricordare qualche dettaglio dell’agguato.

Dopo un’iniziale amnesia, ieri Anna Duritskaja ha detto che il sicario è comparso improvvisamente alle spalle della coppia, senza che lei avesse notato se qualcuno li stesse prima seguendo. La ragazza esclude il movente passionale del delitto e aggiunge che «per la sua sicurezza personale» gli inquirenti non le consentono di lasciare Mosca; anche se il Ministero degli esteri ucraino ha chiesto di lasciarla rientrare in patria. Tra le piste seguite c’è anche quella ucraina, oltre all’ipotesi di una provocazione per destabilizzare il paese, l’attività imprenditoriale di Nemtsov e il movente religioso, per le critiche rivolte alla manifestazione di un milione di musulmani a Grozny, contro le caricature di Maometto.

Pochi propendono per un’ipotesi «a là Kirov» (l’assassinio del leader leningradese del Partito bolscevico, nel dicembre 1934, alla vigilia delle grandi purghe del ’37 e ’38), ma se ne discosta di poco il cugino di Boris Nemtsov, Igor Ejdman. Secondo lui, Putin avrebbe voluto lanciare un chiaro segnale alla società russa, come dire «se posso uccidere nel centro di Mosca, a due passi dal Cremlino, un oppositore noto in tutto il mondo, non farò complimenti con voi: questo è terrorismo contro chi protesta contro il regime dittatoriale», scrive Ejdman.

In realtà, se la domanda è «a chi giova?», allora la tesi Ejdman appare zoppicante, soprattutto per quanto riguarda le proteste. Nelle indagini condotte dieci giorni fa dal Centro Levada, alla domanda sul gradimento della «opposizione antisistema» dei Kasjanov, Nemtsov, Ryzhkov, Navalnyj ecc., il 68% ha risposto no, contro il 15% di sì e il 18% di indecisi.
Alla domanda se appoggerebbero proteste di massa contro le ingerenze russe in Ucraina, il 27% ha risposto sì e il 56% ha detto no. Secondo i dati dell’ufficiale VtsIom, il 10% dei russi giudica «Euromajdan» una rivoluzione; ma il 25% lo ritiene un colpo di Stato, il 12% un atto di banditismo e il 22% lo giudica conseguenza delle provocazioni Usa e occidentali. Più d’uno era infatti convinto che i meeting indetti contro la crisi a Mosca per il 1 marzo avrebbero avuto scarsissimo seguito.

Il Pc russo aveva organizzato la marcia «Primavera rossa-Ultimatum rosso», per «le dimissioni del governo Medvedev e per un governo di fiducia popolare». I liberali del Partito del progresso, Solidarnost e Partito repubblicano avevano programmato la marcia «Primavera» contro la crisi e per la «cessazione di ogni azione aggressiva contro l’Ucraina».

Dopo l’assassinio di Boris Nemtsov la seconda è stata sostituita con una marcia funebre, che ha avuto un seguito di decine di migliaia di persone. Ma anche la pista di una «automutilazione», per quanto non assurda, appare poco verosimile, Maksim Shevcenko su Ekho Moskvy, pensa invece ai tentativi dei radicali di destra ucraini di mettere in difficoltà Poroshenko (che aveva stretti rapporti con Nemtsov, ma la cui morte gli avrebbe comunque procurato la mobilitazione occidentale per l’assassinio del principale critico del Cremlino) costringendolo o a inasprire la guerra o ad andarsene. A proposito di Ucraina, al corteo funebre la polizia ha fermato domenica (e rilasciato lunedì) il deputato della Rada ucraina Aleksej Goncharenko, indagato per l’eccidio di Odessa del 2 maggio 2014.

Quanto alle proteste contro la crisi, che comunque sono state scandite nel meeting «Primavera rossa-Ultimatum rosso», i comunisti russi hanno spedito allegoricamente in Usa il premier «ladro» Medvedev e il truffatore Navalnyj e hanno ricordato come l’allora vice premier Nemtsov, nel 1993, all’epoca del cannoneggiamento eltsiniano del Parlamento, gridasse «Colpiteli. Annientateli tutti, finché non è tardi».