È stato il volto di una stagione di cinema italiano poetico-militante Omero Antonutti, l’attore legato al nome dei fratelli Taviani, scomparso il 5 novembre all’età di 84 anni. La sua sola presenza evoca qualcosa di arcaico e mediterraneo, lui di origini friulane, tanto da poter incarnare l’Alessandro il Grande di Theo Anghelopoulos (1980), dove interpretava con indole crudele il bandito che prende il nome del condottiero nell’Atene degli inizi del novecento convinto di arrivare al potere con l’appoggio dei monarchi, un grande velo squarciato sulla storia della Grecia, una invenzione stilistica stupefacente e un’esperienza unica tra tutti quelli che vi presero parte, per la severità del set.

A OMERO ANTONUTTI quell’esperienza diede una nuova possibilità di carriera: era infatti diventato famoso internazionalmente con Padre Padrone (’77) dei fratelli Taviani, in cui si imponeva per una massiccia, archetipica severità e brutalità, secondo l’autobiografico racconto di Gavino Ledda che metteva in scena, allora studente di lettere alla Sapienza e in seguito professore, il suo contributo all’antiautoritarismo: dopo il successo del film le proposte che gli venivano fatte erano di interpretare ogni sorta di padre. Il suo personaggio era stato certamente lontano dai canoni consueti del nostro cinema classico (da Ladri di biciclette in poi) che prediligeva figure di padri insicuri, dai tratti a volte perfino immaturi, ma il cinema lo tenne lontano per un po’ di anni, anche perché ritenuto un attore prettamente teatrale, finché non fu chiamato da Angelopoulos.

Antonutti dopo aver lavorato nei cantieri navali di Trieste, e iniziato la sua carriera di attore di teatro a Trieste e a Genova dal 1962 al ’76 con la regia di Squarzina, tra classici (I gemelli veneziani di Goldoni) e i prediletti testi impegnati (Rosa Luxemburg del ’76), dopo l’esperienza greca fu poi richiamato dai fratelli Taviani a rappresentare una presenza chiave del loro universo creativo: nella Notte di San Lorenzo (1982) è ancora una figura paterna ma in chiave trascinante, capace di scuotere le coscienze, in Kaos (1984) nell’episodio Colloquio con la madre è Pirandello, padre nobile della cultura. Come raccontavano i registi, tutti personaggi ispirati anche dalla figura del loro stesso padre, colto e protettivo, film realizzati in periodo di dissolvimento di antiche gerarchie, come eventi politico poetici, con uno spazio speciale dedicato al ruolo dell’attore («noi amiamo gli attori») capaci di regalare sempre qualcosa di personale e di imprevisto.

POI ANCORA nell’87 è l’artigiano capace di restauri e meravigliose creazioni in Good Morning Babylonia, segnato dal tempo che passa mentre i figli già vivono un’epoca diversa. Sarà ancora padre nei film televisivi di Castellani e Giraldi, in El Dorado di Carlos Saura (1988) torna alle mitiche figure interpretando Aguirre (ed è assai presente nel cinema spagnolo con Rebollo, Alcazar, Erice, Olea, Querejeta), sarà la voce narrante nella Genesi di Olmi (1994), incarnando la figura patriarcale di Noè e ancora per Olmi la voce off in Il segreto del bosco vecchio e nel Mestiere delle armi. È nel cast di film di registi italiani di grande sensibilità come Fabio Carpi (Quartetto Basileus), Emidio Greco (Una storia semplice). Il suo impegno come doppiatore è stato altrettanto intenso, voce tra gli altri di Omar Sharif, Max von Sydow, Rutger Hauer, Robert Duvall, Joe Mantegna, Harry Dean Stanton, Dennis Hopper. E lo vedremo il prossimo anno in Hammamet di Gianni Amelio.