La scena è una apocalittica, magnetica metafora dei mutamenti climatici del nostro mondo, la coreografia, ogni sera diversa, è la risposta a un algoritmo derivato dai dati raccolti negli ultimi quarant’anni sul movimento del ghiaccio nelle regioni polari: accade in New Ocean (the natch’l blues, formidabile titolo del coreografo americano Richard Siegal per la sua compagnia Ballet of Difference, presentato a ridosso del debutto mondiale a Colonia al festival MilanOltre e poi al festival Aperto di Reggio Emilia. Un omaggio a Merce Cunningham, geniale maestro della danza del Novecento, di cui si celebra quest’anno il centenario della nascita e il decennale della scomparsa. Siegal è partito da Ocean, pezzo del 1994 nato da un’idea di tre anni prima di Cunningham e John Cage. Ne ha ripreso il nesso con la figura del cerchio, esplorando con determinazione l’impatto tra silenzio (prima parte) e partitura (Alva Noto, seconda parte). Linguaggio del corpo scolpito con tenacia tra spirali del busto, solidità ballettistica, timbro solistico dei danzatori. Super.