La lista per l’Altra Europa ha avuto alcuni indubitabili meriti: ha permesso alla sinistra di tornare nel parlamento europeo dopo 10 anni, ha rotto il tabù delle soglie, rimesso in moto energie nuove e dato entusiasmo a tanti giovani, ha mobilitato associazioni e campagne, ha gettato il «seme» di un processo nuovo che ha bisogno di insediamento e pratiche sociali, capace se curato come ci ha dimostrato con la sua lettera Marco Furfaro, di allargare il consenso e la partecipazione a sinistra. Naturalmente ci sono anche le ombre: una gestione approssimativa, in alcuni casi opaca, non rispettosa di tutte le forze che generosamente hanno contribuito al risultato, che è culminata nella vicenda delle candidature, della ambiguità e della «mancata rinuncia» della Spinelli.

Tsipras o non Tsipras, siamo tutti davanti ad un bivio: costruire il partito unico con il Pd consegnandosi alla subalternità politica e culturale della «austerità espansiva» – nuova formula che piace molto anche ai renziani – oppure costruire uno spazio politico, alla sinistra del Pd, non settario e non identitario, ma plurale e unitario capace di allargare il campo e misurarsi -anche con il Pd – con la prospettiva del cambiamento e del governo del paese.

Una prospettiva del genere non va certo d’accordo con le piccole-larghe intese di Alfano, Sacconi e Giovanardi né con una politica del lavoro che invece di crearlo, lo precarizza, stabilizzando insicurezza e solitudine, come fa il decreto Poletti. Il voto del 25 maggio – comunque eccezionale, appare volubile – non cambia lo scenario e non cambia le politiche del governo Renzi. Se poi il premier si batterà contro le politiche di austerità in Europa, troverà adeguato sostegno.

Una prima verifica di coerenza la si potrà avere l’11 Luglio a Torino dove si terrà il Vertice Europeo contro la disoccupazione giovanile primo atto della presidenza Europea di Renzi. Occasione che dovrebbe essere colta da tutti noi per costruire un confronto concreto anche oltre la lista Tsipras, sulle alternative alla austerità per creare lavoro. Politiche d’austerità che hanno portato la disoccupazione giovanile nell’area Ue attorno al 12%, con oltre tre milioni e trecentomila giovani che non vedono un lavoro, il 23,5% del totale.

Bisogna però uscire dal politicismo e dal tatticismo esasperato che ha caratterizzato la discussione – tutta giocata a fini interni, sullo scenario dell’esperienza della lista europea e rimettere al centro la scelta che oggi è necessaria: la prospettiva di un processo di allargamento dello spazio politico a sinistra.

La questione del contenitore o della costituente non è oggi all’ordine del giorno, perché si può e si deve andare oltre ciò che è stato espresso in campagna elettorale.

Ce lo chiedono un milione e centotremiladuecentoetre elettori per rilanciare urgentemente una prospettiva politica di cambiamento e di allargamento a sinistra e anche – ad esempio – ai 260mila che hanno votato per la lista dei verdi. Anche nel rapporto con il Pd.

E questo a partire dai contenuti che non possono essere mai sequestrati dal posizionamento politico, gli 80 euro vanno bene sopratutto per chi li riceve (senza dimenticare però i più fragili dagli incapienti ai pensionati al minimo passando per le partite Iva, che non li hanno ricevuti) ma il decreto sugli 80 euro un po’ meno. Un decreto che taglia 5 miliardi agli enti locali in tre anni, chiude le sedi regionali della Rai, alza le tasse a 25 milioni di risparmiatori e fa finta di colpire le banche beneficiare delle quote rivalutate di Banca d’Italia, che invece non subiscono nessun taglio grazie ad una eccessiva sopravvalutazione (fatta da Banca d’Italia) del rendimento delle quote in possesso alle banche. Vanno male le dismissioni del patrimonio pubblico, vanno male i provvedimenti sul lavoro, va male la spending review che colpisce il welfare, vanno male i falsi annunci – non rispettati – sui cacciabombardieri F35.

Un programma di cambiamento per un altra Italia archivia queste scelte e mette al centro la prospettiva del New Deal sociale ed ecologico, del piano del lavoro, di una vera redistribuzione della ricchezza, del disarmo, di un piano di investimenti pubblici per le piccole opere e i beni comuni.
Da qui può ripartire una sinistra inclusiva e non ideologica, che si contamina con altre forze e culture, che non si rinchiude nel patriottismo di partito e nell’autosufficienza, ma che scommette sul futuro di un campo largo capace di ricostruire rapporti di forza e di partecipazione indispensabili per investire sull’alternativa alle politiche di austerità in Italia e in Europa.