Assessore all’urbanistica di Veltroni, candidato alle primarie, storico parlamentare di Roma e suo cultore (sulla nascita delle borgate, sulle giunte rosse e sul declino della Capitale ha scritto molti libri) nel 2014, prima dell’inchiesta Mafia Capitale, Roberto Morassut aveva descritto il Pd come «una mistura di cordate e di tribù interne che si confrontano solo sul potere, lontane dalla politica e dalle cose reali».

Oggi propone il superamento del Pd. Una nuova Bolognina?

Al Pd occorre una totale rifondazione politica, strategica e organizzativa. Lo dico da anni, sta agli atti. Oggi più di prima il Pd deve trasformarsi in un soggetto aperto e federato, più movimento che partito novecentesco. Alla fine ci dovremo anche chiamare in un modo diverso e «Democratici» mi pare lo sbocco obbligato per dare quella idea di soggetto aperto senza smarrire i nostri valori.

È d’accordo con Calenda?

Oggi tutti ammettono che bisogna andare «oltre il Pd». Non condivido l’idea di un fronte repubblicano ma nel suo documento ci sono proposte utili; più per un governo che per il profilo di un soggetto politico.

Dove ha sbagliato il Pd?

Con il voto del 4 marzo si è consumata una rottura sentimentale del nostro popolo con il «partito». Le cause sono tante e comuni a quasi tutte le forze della sinistra occidentale. Ma ci sono anche nostre responsabilità nel non aver avuto il coraggio di condurre il Pd verso un soggetto aperto e in grado di stabilire una relazione costante con le forme partecipative, associative e civiche indipendenti dai partiti. Il Pd era nato per unire le tradizioni democratiche e popolari e per aprirle a questo vasto universo che non riconosce più nella classe politica dei partiti una guida.

Il Pd deve arrendersi ai girotondi con vent’anni di ritardo?

Non è una resa, è una presa d’atto. Siamo riusciti a unire le culture democratiche. Ma l’apertura al mondo associativo è mancata clamorosamente. E questo mondo si è rivolto ai soggetti del populismo.

Propone nei fatti un congresso di scioglimento?

Abbiamo bisogno di un congresso politico, non ordinario, per tesi. Ho visto che questa ipotesi di percorso, che avanzai nel 2016, è stata rilanciata da Orlando. Così facendo si può eleggere Martina segretario. Poi dopo il congresso costituente si faranno le primarie. Basta una integrazione all’articolo 26 dello Statuto. Il congresso parta da un «Documento fondamentale dei Democratici per l’Italia e l’Europa» redatto da un pool di personalità autorevoli e fuori dalle correnti e di intellettuali. Questo documento dovrà poi viaggiare in tutto il Paese, essere emendato, arricchito in un bagno di assemblee aperte dove chi si iscrive entra in una nuova anagrafe «democratica». Dobbiamo superare l’impaludamento di platee precotte e correntizzate dove tutto quel che accade è noto da prima che accada.

Siete il partito della polemica contro i ’professoroni’. Renzi e Boschi hanno sbeffeggiato buona parte del costituzionalismo italiano nella campagna referendaria. Come potreste ricucire con questi mondi?

Con umiltà. Ricongiungendo intellettuali e popolo, cosa vitale per la sinistra. È possibile solo se si fa un congresso diverso, con procedure eccezionali, che ribaltino il profilo stantìo del nostro pluralismo interno. L’assemblea del 7 luglio può inserire nello Statuto un articolo che preveda lo svolgimento di congressi politici e non di primarie.

Un congresso con tempi lunghissimi, dopo le europee è quello che chiedono i renziani perché non hanno un loro candidato.

Non è questione di nomi o di correnti. Chi invoca il congresso subito deve chiarire cosa chiede perché quello che oggi chiamiamo «congresso» sulla base dello Statuto è un confronto tra candidati alla segretaria su programmi che non legge mai nessuno.

Renzi che ruolo avrà in questo dibattito?

Attenzione alle vendette, ai rancori. Vale per tutti. Sbaglia chi pensa di fare a meno di Renzi o si augura una sua fuoriuscita. Assurdo che personalità come Veltroni non siano richiamate per ripartire. Abbiamo bisogno di valorizzare le azioni dei nostri governi da Letta, a Renzi a Gentiloni.

Ma è su questi governi che avete perso.

I nostri governi hanno ottenuto risultati così importanti sul piano economico e internazionale che neanche il governo Conte può prescindervi. Il problema è che per fare le riforme non basta approvare delle leggi. Bisogna insediarle nella società attraverso un forte soggetto politico. Un partito. Che a noi è mancato. Per questo va rifondato.

Lei è romano. A congresso non si schiererà con Zingaretti, sempreché si candidi?

Seguo con interesse l’iniziativa di Zingaretti e credo che possa essere la figura giusta per una stagione inclusiva che ricomponga le forze non sulla base di un patto di potere ma di un progetto. Ma il progetto prima va abbozzato tutti insieme, con un congresso costituente.