Nel 1480 Gentile Bellini realizzava a Istanbul il ritratto del sultano Mehmet II, il conquistatore di Costantinopoli. Dopo la caduta della città, a dire il vero l’ombra di se stessa da quando i crociati latini e cristiani l’avevano devastata nel 1204, la lotta contro i turchi era stata centrale negli interessi della Chiesa. Soprattutto di Enea Silvio Piccolomini, eletto papa nel 1458 dopo un conclave assai controverso, il quale si era impegnato a favore di una nuova, grande spedizione.
Il sultano, infatti, stava ampliando le sue conquiste giungendo anche a occupare Atene. Solo il giovanissimo Mattia Corvino osava sfidarlo contendendogli la Serbia. Inoltre, il sultano aveva strappato alla dinastia dei Comneni l’impero di Trebisonda e tutta la fascia costiera meridionale del Mar Nero. Nel 1463 gli ottomani avevano completato l’occupazione della Bosnia e minacciavano di sloggiare completamente Venezia dalla Morea.

IN UN’ENCICLICA di quello stesso anno, Pio II si diceva sicuro che nessun principe cristiano si sarebbe tirato indietro da un’impresa nella quale il pontefice, ormai debole e infermo, dava l’esempio. Per l’organizzazione della crociata, aveva convocato a Mantova i capi della Cristianità occidentale in un congresso nel quale si sarebbero dovuti discutere tempi e modi della futura spedizione.
Come promesso, il 18 giugno del 1464 il papa in persona si recò verso il porto d’Ancona dove avrebbe dovuto riunirsi la flotta cristiana. Tuttavia, una violenta epidemia scoppiata fra il luglio e l’agosto decimò la popolazione locale e i già pochi aspiranti crociati.
Il doge di Venezia, che aveva promesso la sua partecipazione diretta, salpò solo ai primi d’agosto: navigando con lentezza, giunse al porto marchigiano appena in tempo per confortare con la vista delle sue navi il papa, che morì pochi giorni più tardi. Il successore Paolo II sembrava disposto a continuare l’opera di Enea Silvio; ma una dieta da lui fatta indire a Norimberga per trattar la questione non dette risultati. I turchi, intanto, nel 1469 si dedicavano a incursioni in Stiria, Carinzia e Carniola, e nel 1470 occupavano Negroponte.

Nel 1475 la genovese Caffa cadde in mano turca. La morte di Maometto II nel maggio del 1481 e le contese per la successione tra i figli Jem e Bajazet allentarono comunque la pressione, ma era evidente che ormai con la potenza ottomana era necessario trattare. Così si erano decise a fare da qualche anno le potenze italiane, che per questo erano ben poco entusiaste di un’ennesima crociata. Il ritratto del sultano realizzato dal pittore veneziano è un segno di questa distensione, ma non è l’unico.
Successivamente, Solimano il Magnifico sarebbe stato ritratto da Tiziano, ma nel frattempo tante altre iniziative di distensione si erano realizzate. Fra questo, il progetto di un ponte a Istanbul del quale sarebbe stato incaricato addirittura Leonardo Da Vinci: il ponte non si realizzò, ma la vicenda è un ulteriore tassello nella storia dei rapporti fra Occidente e Oriente. A indagarlo esce un agile libro di Gabriella Airaldi, Il ponte di Istanbul. Un progetto incompiuto di Leonardo Da Vinci (Marietti, pp. 94, euro 10) che inquadra la vicenda nella cornice nei rapporti (peraltro, come l’autrice mostra, di lunghissima durata) fra Genova e il Turco.

CHE IN GENERALE, la storia degli scontri e degli incontri fra Oriente e Occidente vada ripensata, lo dimostra un’altra recente uscita, Franco Cardini – Antonio Musarra, Il grande racconto delle crociate (Il Mulino, pp. 526, euro 48): ricco di illustrazioni e di un’impaginazione di qualità, il libro è innanzitutto ciò che il titolo promette, ossia un «racconto» delle vicende nella tradizione che va almeno dalla Storia delle crociate di Steven Runciman fino a Le guerre di Dio di Christopher Tyerman (ma passando per molti altri autori, fra i quali è impossibile dimenticare Jonathan Riley Smith).
Tuttavia, accanto a ciò che ci si aspetta da un testo del genere, è evidente anche uno sforzo (riuscito) di problematizzare la narrazione, soprattutto nella seconda parte, quella dedicata proprio all’avanzata ottomana e all’età moderna, ossia ben oltre l’età considerata «classica» della crociata, e che giunge fino al mito e alle riletture contemporanee del tema, guardando anche oltre il Mediterraneo, fino all’Asia e all’Africa.

SI TRATTA DI UNA CROCIATA per l’età della globalizzazione. È infatti sempre interessante vedere come gli interessi del presente finiscano per riverberarsi sul passato, mettendo in luce cose che alcuni decenni fa non avremmo notato. Le crociate, così come il Medioevo, sono state sempre associate strettamente all’Europa, e le proiezioni oltre i confini geografici e mentali del Vecchio Mondo hanno ricevuto attenzione minore rispetto a quanto sarebbe stato opportuno. Ma la prospettiva è cambiata, come si evince anche da un altro libro: Paolo Grillo, Le porte del mondo. L’Europa e la globalizzazione medievale (Mondadori, pp. 284, euro 22) che ci mostra quanto i contatti fra gli europei e il mondo esterno siano stati essenziali proprio nel medioevo: dal Mar Nero a Karakorum, da Venezia a Pechino, da Genova alle coste del Malabar, dal Portogallo all’Etiopia e così via, per un viaggio affascinante nel tempo e nello spazio.

LE RICERCHE di Gabriella Airaldi, di Franco Cardini e Antonio Musarra, di Paolo Grillo evidenziano una realtà ben diversa da quella stereotipata su un’epoca chiusa, ma anche su culture a compartimenti stagni: la Cristianità, l’Islam; l’Oriente, l’Occidente. E anche la nuova edizione del bellissimo libro (un classico, potremmo dire) di Michela Pereira, Arcana sapienza. Storia dell’alchimia occidentale dalle origini a Jung (Carocci, pp. 378, euro 29) mostra come la circolazione della cultura (alchemica, ma non solo: la medicina e le scienze sperimentali sono ampiamente rappresentate) non abbia avuto confini e si sia anzi giovata dell’apporto continuo di culture «altre» rispetto alla nostra.