Almeno 60 persone sono morte in uno scontro fra bande rivali nel penitenziario di Manaus, capitale dello stato brasiliano di Amazonia. Secondo l’Ordine degli avvocati del Brasile (Oab) si è trattato di uno dei peggiori massacri avvenuti nelle carceri del paese, considerate un vero e proprio inferno.
Durante gli scontri, iniziati domenica, vi sono state numerose decapitazioni, alcuni detenuti sono stati mutilati e bruciati. Circa 90 carcerati sono riusciti a fuggire, ma 40 sono stati ripresi.

All’origine del massacro, la lotta per il controllo del penitenziario e degli affari che vi prosperano tra la banda denominata Primo comando della capitale, basata a San Paolo, e quella della Famiglia del Nord, che predomina nelle carceri dell’Amazonia ed è alleata del potente gruppo mafioso Comando Vermelho, che agisce a Rio de Janeiro.

Inasprimento delle pene, incremento dei delitti più gravi, durata dei processi giudiziari, abuso del carcere preventivo, assenza di misure alternative e di interventi strutturali su povertà e disuguaglianze, hanno elevato la popolazione carceraria a 548.000 persone: la quarta più numerosa al mondo, dietro Stati uniti, Russia e Cina. I reclusi vivono in condizioni sub-umane nelle strutture adatte a contenere solo 319.000 persone. Negli ultimi mesi, vi sono state altre rivolte sanguinose, negli stati del Rio Grande do Sul, Roraima, Rondonia e Acre.

Una situazione destinata a peggiorare, visto il cambio di indirizzo nelle politiche sociali deciso dal governo di Michel Temer dopo l’impeachment contro Dilma Rousseff. Secondo dati ufficiali, tra settembre e novembre del 2016, il numero dei disoccupati ha raggiunto la cifra record di 12,1 milioni di persone, pari all’1,9% della popolazione economicamente attiva. La principale economia latinoamericana si è contratta l’anno scorso del 3,8%, il peggior risultato degli ultimi 25 anni.

Dati che sono serviti alle destre e ai loro terminali internazionali per portare avanti la campagna contro Dilma e il Partito dei lavoratori e per preparare il terreno ai piani di aggiustamento strutturali voluti dall’Fmi e subito messi in atto da Temer. Anche quest’anno, gli indicatori dicono però che il Pil diminuirà di un altro 3,5%, ovviamente a scapito dei settori popolari su cui si è abbattuta la scure dei tagli alla spesa sociale.

In compenso, il governo ha stanziato 1.200 milioni di reales (circa 366 milioni di dollari) per costruire nuove carceri e «modernizzare» quelle esistenti. Secondo il portavoce del governo, Alexandre Parola, si tratta del maggior investimento fin qui erogato, che il Fondo penitenziario nazionale (Funpen) distribuirà ai 27 stati federali del paese.

Fondi che, per come si presenta la situazione in Brasile e visto il profilo dei governanti (gran parte dei quali inquisiti per corruzione), finiranno per alimentare il sistema clientelare che regge i meccanismi di potere di quella «vecchia oligarchia del denaro e del privilegio che – nelle parole di Frei Betto – non ha mai accettato che, dai piani bassi, qualcuno sia arrivato a essere presidente del Brasile e abbia incluso socialmente milioni di figli e figlie della povertà».

E, dalle carceri brasiliane, arriva un’accorata denuncia della moglie dell’ex sindacalista Enrique Pizzolato, vessata dalle guardie per l’ultimo dell’anno.