Il Perù ribolle. Protestano i lavoratori degli zuccherifici, i minatori e gli agricoltori, e la repressione si fa sentire.

Il conflitto più acuto riguarda il progetto di Tia Maria, nel sud del paese, una miniera di rame a cielo aperto nella regione di Arequipa in cui agisce l’impresa messicano-statunitense Southern Copper Corporation, che ha un contratto per 21 anni. I lavori di scavo provocheranno un forte impatto ambientale, la popolazione lo ha denunciato fin dall’inizio, nel primo trimestre del 2009. Gli agricoltori a cui viene confiscata l’acqua che serve per riso, canna da zucchero e paprika nella valle del rio Tambo hanno organizzato forti proteste. Il governo ha risposto militarizzando il territorio e proclamando lo stato di emergenza.

Finora i morti sono quattro e numerosi gli arresti. I lavoratori accusano il presidente Ollanta Humala di aver ceduto al ricatto delle multinazionali e dei poteri forti. Humala lo ha sostanzialmente ammesso durante un incontro alla popolazione in cui ha sostenuto di temere la reazione degli organismi internazionali. I contadini hanno respinto la pausa di 60 giorni proposta dai vertici della multinazionale e hanno ripreso le proteste.

In agitazione anche i 2.000 lavoratori dello zuccherificio Pomalca, da 40 giorni in sciopero per migliori condizioni di lavoro. Protestano anche i minatori dell’impresa cinese Sgougang. E aumenta il malcontento per l’ulteriore apertura alle basi militari Usa. Insieme a Colombia, Messico e Cile, il Perù è uno degli assi dell’Accordo del Pacifico con gli Usa, giocato contro le alleanze solidali dell’America latina progressista.