In un articolo comparso tempo fa sul Guardian, la scrittrice e critica letteraria inglese Olivia Laing ha raccontato di come, dopo aver seguito la vicenda Brexit, la campagna per le presidenziali americane e l’elezione di Trump, nel 2017 abbia deciso di lasciare Twitter – «ero diventata dipendente dalla costante certezza che il clic successivo, il link successivo, avrebbero fatto chiarezza, come se a forza di leggere tutto la ricompensa sarebbe stata l’illuminazione». Ma non è stato così, ci assicura in un’intervista. «I social sono delle fabbriche di paranoia, e sì, possono essere una fonte utile per reperire informazioni, ma il fatto che attribuiscano così tanta importanza alle breaking news rappresenta un problema in termini di comprensione della realtà». «Sono contenta di aver lasciato Twitter – conferma a distanza di tre anni – avevo bisogno di andare più a fondo, tornare alla storia, distinguere cause e conseguenze con un andamento più lento e riflessivo. Mi stavo ammalando di velocità».

È QUALCOSA che durante il lockdown è successo a tutti – mentre molti trasferivano online le smanie sociali, aperitivi inclusi, e altri si aspettavano che l’iperconnessione avrebbe fatto saltare internet da un momento all’altro, alla fine ad andare in tilt è stato il sistema nervoso di chi, sempre alla ricerca di dati e ultim’ore, voleva capire il più in fretta possibile come stavano davvero le cose. A un certo punto, per alcuni più che per altri, è stato chiaro che internet non ci avrebbe salvati. «Internet è stata una risorsa straordinaria per restare in contatto, ma allo stesso tempo si è rivelato alienante. Sono d’accordo, non ci salverà. Perché invade la nostra privacy e influenza le nostre discussioni in modi pericolosi. Polarizziamo, litighiamo, è sempre più difficile trovare un terreno comune», commenta Laing.

Il suo primo romanzo, Crudo, pubblicato nel Regno Unito nel 2018 e ancora non tradotto in Italia, nasce proprio dal senso di straniamento che si può provare davanti al cumulo di cattive notizie che ormai da anni ci tiene intrappolati in uno stato di permanente simultaneità. Non è un caso se è scritto «in tempo reale» – un esperimento, che prende in prestito il punto di vista della scrittrice punk Kathy Acker, mescolandolo alle vicende biografiche dell’autrice in una voce che Laing definisce «selvaggia e instabile», sicuramente in grado di forzare i limiti di quella che i critici chiamerebbero autofiction.

«Avevo bisogno di quell’instabilità. Se avessi scritto un resoconto di non-fiction in prima persona non sarei stata in grado di catturare il senso di turbolenza e collasso che mi circondava» spiega. «Volevo registrare il momento mentre lo stavo vivendo. Sapevo che sarebbe stato storicizzato e che avrebbe assunto una forma e un significato che, finché ci stavamo tutti dentro, sarebbe stato impossibile da vedere». È così che succede a galleggiare in mezzo a un flusso di dirette, a un certo punto non si è più capaci di distinguere gli eventi rilevanti dalle coincidenze. «Ho deciso di registrare tutto, i dati grezzi di un momento di transizione. Volevo un resoconto del presente, il personale e il politico mescolati insieme, come nella realtà».

PRIMA DI «CRUDO», Laing si è affermata come scrittrice di non fiction e giornalista culturale. Il suo Città sola, portato in Italia da Il Saggiatore – un’indagine sulla solitudine delle metropoli che partiva dal periodo in cui l’autrice ha vissuto a New York per perdersi nelle vite di personalità come quelle di Edward Hopper e Andy Warhol, che della solitudine hanno fatto un’arte – è stato tradotto in diciassette lingue e ha venduto più di centomila copie.

ADESSO, una selezione di suoi saggi e articoli è stata raccolta in Funny Weather. Art in an emergency, pubblicato nel Regno Unito e negli Stati Uniti – un volume dalla copertina rigida che porta in cima uno dei lavori in bianco e nero del fotografo David Wojnarowicz, tra gli artisti di cui Laing ha più scritto nel corso della sua carriera. L’arte ha un ruolo fondamentale nella produzione di Laing, e ha un legame strettissimo con la sua scrittura, qualcosa che «per una che ha iniziato parlando di letteratura ha rappresentato una rivelazione», racconta. Per Laing, di fronte al clima di catastrofe che ormai ci definisce, l’arte diventa un processo di resistenza dalla funzione riparativa. È diverso rispetto a dire che l’arte può cambiare il mondo, ma in qualche modo ha a che fare con una trasformazione. «L’arte può essere una fonte di chiarezza, un modo di testimoniare, una zona di incanto o un luogo dove creare un futuro diverso. Mi piace sempre raccontare di come lo scrittore e regista Derek Jarman, quando gli fu diagnosticato l’Aids, iniziò a costruire un giardino sulla spiaggia di Dungenness, proprio accanto a una centrale nucleare. L’omofobia era molto diffusa in quel periodo e migliaia di persone stavano morendo. Jarman non ha smesso di scrivere o protestare, ma allo stesso tempo ha costruito questa fertile utopia, uno strano, bellissimo e improbabile giardino, che è rimasto lì anche dopo che lui è morto, nel 1994. Un monumento agli altri regni, agli altri modi di vivere che l’arte può inventare».

Laing prova a fare qualcosa di simile nelle sue colonne intelligenti – quelle scritte per la rivista Frieze in una rubrica fissa che dà il titolo al libro, «bollettini metereologici» dedicati a un clima politico sempre più incerto – anche quando di mezzo c’è un grattacielo che brucia, un gruppo di rifugiati che per protesta si cuce la bocca, il razzismo della polizia americana, l’erosione dei diritti, l’uscita del Regno Unito dall’Europa. Sfogliando Funny Weather, ancor più di quanto già avvenisse nei lavori precedenti di Laing – si ha l’impressione di addentrarsi gradualmente in quello che si potrebbe definire «il suo mondo». Un labirinto che inizia dai canyon di Georgia O’Keffe e procede per affinità elettive, arriva alle reinvenzioni di David Bowie passando per le rigorose geometrie di Agnes Martin, la fotografia di Wolfgang Tillmans, e tutti i rispecchiamenti che negli anni l’autrice ha rintracciato in una compagine di persone geniali.

LA SCRITTURA DI LAING funziona come una collezione di conchiglie, tutta mirata com’è a raccogliere forme diverse, per comporne una che abbia un senso proprio. «Una collezione di conchiglie, adoro questa definizione. Alla fine scrivo di argomenti complicati – la solitudine, la perdita, le dipendenze, l’odio. Cose che voglio capire a un livello filosofico, ma che mi interessa anche come impattano sulla vita delle persone. E scrivo per amore. Tutti i saggi contenuti in Funny Weather riguardano artisti che mi commuovono e mi entusiasmano. Volevo consegnarli come un dono a chi avrebbe letto». Una specie di antidoto al meccanismo a cui siamo assuefatti, per cui ogni catastrofe viene immediatamente rimpiazzata dalla successiva, senza che si creino le condizioni per una elaborazione mentale o emotiva: oltre a «una timeline diversa» ci vorrebbe «un diverso tipo di tempo», scrive Laing nelle prime pagine, e non solo per pensare a come reagire ma anche per tornare a sentire qualcosa.

PAROLE che tornano in mente quando in uno degli articoli contenuti nella raccolta, intitolato come l’ultimo romanzo di Virgina Woolf, racconta del giorno in cui con la scrittrice Julia Blackburn, sulla spiaggia di Covehithe a Suffolk, hanno trovato lo strano fossile di una mascella – «un delfino, o forse una balena, ha detto Julia, probabilmente la cosa più antica che io abbia mai toccato». Tra le righe, s’intravede in controluce il disegno di un varco ancora aperto tra la Doggerland, la lingua di terra che in un’era ormai remota connetteva l’Inghilterra all’Europa, e la Brexit che dall’Europa sembra sancirne una irreversibile separazione. Naturali o politiche che siano, le catastrofi sembrano avere il potere di rendere indecifrabile il tempo; ci sarebbe da chiedersi cosa accade alla nostra percezione. «È un’ottima domanda, soprattutto di fronte al lockdown, che ha conferito al tempo un aspetto diverso, più strano. Ogni giorno sembra uguale agli altri, eppure tutto sembra scorrere molto velocemente. Posso dire che leggere il libro di Julia Blackburn, Time Song, è stata un’esperienza straordinaria, perché mi ha ricordato che l’esistenza umana è un elemento minimo nella storia più vasta dell’universo. Ho trovato stranamente consolante sapere che ci sono grandi oceani di tempo dietro di noi e che ce ne saranno di altrettanto grandi davanti».

***

Movimenti e diritti civili e sessuali

Oltre a «Città sola», di Olivia Laing sono stati tradotti in italiano il suo «Viaggio a Echo spring» (Il Saggiatore, 2019) e «To the river», in uscita per il Saggiatore a settembre, dedicato alla storia del fiume Ouse, nel Sussex, dove Virginia Woolf annegò nel 1941. Il suo prossimo libro, «Everybody», indagine sul corpo che attraversa la storia del movimento femminista e dei diritti civili e sessuali, uscirà nel Regno Unito nel 2021.