Uscita negli Stati uniti un anno fa sulla tv via cavo FX, e in Italia all’inizio del 2018, la serie antologica Feud: Bette and Joan – sulla rivalità tra Bette Davis e Joan Crawford – ha generato una disputa legale che potrebbe stabilire un importante precedente per il genere biografico.

La grande attrice hollywoodiana Olivia de Havilland, oggi centounenne, ha infatti contestato la sua rappresentazione nella serie (la interpreta Catherine Zeta Jones), dove a suo dire sarebbe dipinta come una pettegola arrivista. Per questo De Havilland ha fatto causa a FX e al produttore Ryan Murphy per aver fatto uso della sua immagine senza permesso e averla mostrata in cattiva luce.
Gli avvocati dello Studio hanno fatto appello alla libertà di parola sancita dal Primo emendamento, e a una legge californiana che permette di rigettare le cause il cui fine ultimo è una forma di censura. E intorno a FX hanno fatto quadrato anche Netflix e i principali Studios hollywoodiani, per i quali la causa di De Havilland «mette in pericolo l’intero genere cinematografico basato su fatti realmente accaduti, inclusi i docudrama e i biopic».

In un primo momento, l’attrice di Via col vento aveva avuto la meglio: un giudice di Los Angeles aveva consentito alla causa di andare avanti. Ieri invece la giudice d’appello Anne Egerton ha rigettato la querela, con la motivazione principale che Feud è un lavoro di fiction: «La finzione, per definizione, non è vera. Detto brutalmente, è falsa. Pubblicare un lavoro di fiction su una persona reale non può significare che l’autore, per il semplice fatto di aver scritto un’opera di finzione, abbia agito con reale malizia».
La legale di de Havilland Suzelle Smith ha denunciato una «decisione interamente a beneficio dell’industria cinematografica» e ha annunciato che farà ricorso alla Corte Suprema della California.