Come avviene per l’accesso al Parco Olimpico e ai vari impianti sparsi qua e là nella città, anche per prendere la nuova linea della metropolitana bisogna esibire pass o biglietti per uno o più eventi, altrimenti non si passa. Poi però, come è stato per il Maracanà il giorno dell’inaugurazione, le maglie della sicurezza sono meno fitte di quanto si possa pensare.

A G. Osorio, fino a poco tempo fa l’ultima fermata della metro nella Zona Sul di Rio de Janeiro, ora c’è l’accesso ai binari per la nuova linea 4. Qui bisogna passare due filtri di sicurezza e finalmente si accede alle scale mobili che portano alla nuova metro. La strategia è sempre la solita, parlare e descrivere ciò che si sta osservando, come si fosse in diretta tv. Magicamente tutti si spostano e ti lasciano passare.

Dove sono i brasiliani

In meno di un quarto d’ora si arriva così alla Barra da Tijuca, dove c’è ancora un mezzo da prendere, pullman super rapidi che percorrono questa tratta a grande velocità e in un altro quarto d’ora si arriva finalmente al Parco.

Lungo tutto il percorso non s’incontra un brasiliano che sia uno, a parte gli addetti ai controlli. I canadesi sono tantissimi e si fanno volutamente riconoscere con le loro maglie rosse. Poi ci sono numerosi australiani, ovviamente argentini e sparuti gruppi che arrivano da questo o quel continente.
Sulla metro, quella nuova, tra gli incontri che si fanno non si può non raccontare quello con tre arbitri che fanno parte della commissione del Comitato olimpico internazionale (Cio). Un argentino, un messicano e un peruviano. Raccontano che i Giochi per chi ci lavora hanno ritmi insostenibili: sveglia alle 4:00, spostamenti nelle sedi delle gare – loro tre occupandosi di canottaggio operano a Lagoa -, poi le gare, le commissioni eccetera. Molto cordiali e disponibili, ci tengono a far sapere che tutti e tre sono sposati con donne italiane e che parlano benissimo la nostra lingua. Con loro scendiamo all’ultima fermata della nuova linea, la «4». I carioca, su questa cosa ci scherzano molto, perché non comprendono come mai l’abbiano chiamata così visto che a Rio la linea 3 non esiste.

Troppo grande e dispersivo

Con il bus superveloce si giunge finalmente al Parco olimpico, dove ci sono gli impianti e le strutture principali. La piscina olimpica, l’Arena del tennis, le tre Arene carioca dove ci sono le gare di judo, di lotta e tante altre discipline niente affatto minori. L’area è davvero enorme. All’entrata la prima cosa che si scorge è l’albergo costruito per i giornalisti. Un ponte collega questo primo edificio con un altro, dove ci sono la maggior parte degli studi televisivi da cui vengono trasmessi tutti gli eventi e le rubriche.

Anche qui diversi i filtri di controllo, ma basta esibire il biglietto e si passa. Metal detector, perquisizione e siamo dentro. Non c’è molta coda e appena si entra non si ha l’impressione di folla. È tutto talmente grande e dispersivo, per andare da un posto all’altro bisogna camminare parecchio.
L’area ristorazione è in mano ai grandi marchi. Immensa. Anche qui zero code, ma si avverte la differenza di prezzo rispetto agli stessi prodotti acquistati all’esterno. Ci sono padiglioni enormi di grandi sponsor. Musica e giochi di luce, ma tutti gli ambienti sono desolatamente vuoti. L’unico che attira davvero l’attenzione è quello della più popolare marca di birra brasiliana, che di fatto ha messo su una vera e propria discoteca con tanto di dj e pista da ballo. La musica che viene suonata è dance internazionale decisamente mainstream, e quando arrivano brani rapi brasiliani, sono brani che in Brasile hanno già fatto il loro tempo.

Anche qui presenze prevalentemente straniere, i brasiliani sono davvero pochi. I padiglioni così come le stesse arene, la disposizione delle strutture e la loro architettura richiamano molto Expo. È come se a tutto questo mancasse qualcosa. Non c’è armonia col territorio, tutto è completamente distaccato da ciò che è Rio.

La scelta di dividere in qualche modo chi è arrivato per i Giochi dal resto della città non sta pagando in termini di coinvolgimento della gente di qui. E infatti i carioca continuano a viversi le competizioni con grande distacco.

Dentro il parco non solo non c’è il Brasile, ma non c’è nemmeno l’ombra di Rio. Le strutture, la disposizione e il resto potrebbero essere qui come in un altro Paese. Poi che si entusiasmino anche loro per Phelps o per Bolt non ha nulla a che vedere con il resto, perché che i brasiliani siano appassionati di sport non lo scopriamo certo oggi.

Fuga per la vittoria

Il Parco vive di una vita propria. Anche il solo fatto di non potere spendere la moneta locale perché i prodotti si possono comprare solo con una certa carta di credito, quella che sponsorizza l’evento, pone una inevitabile distanza. Quindi non c’è stupore che a fronte di uno spazio freddo e dispersivo poi anche gli atleti, se solo si presenta l’occasione, fuggono a Rio.

A Lapa nel fine settimana, in mezzo a una bolgia pazzesca, s’intravedono alcune tute, atleti di diverse delegazioni. Per molti è la prima volta fuori dal villaggio olimpico, quindi lo stupore è garantito. Lapa è uno spettacolo sempre, che sia inverno o carnevale qui si radunano migliaia di persone di tutte le età. Si suona per strada, nei locali, addirittura un dj improvvisa il suo set da una finestra. Venditori dappertutto, folklore e vita vera.

Le tute degli azzurri sono le più evidenti. O’ Globo ha dedicato pure un servizio alle divise griffate della nazionale italiana. Quindi, anche se passano alteti iraniani, quelli che si sono maggiormente incontrati in giro in luoghi non “istituzionali”, o giapponesi, sono i pochi azzurri finalmente in libera uscita quelli che attirano di più l’attenzione. Si vede che sono curiosi di scoprire finalmente qualcosa di vero di questa città. Sono ragazzi che hanno lavorato anni per giungere a questo traguardo, lontano dai riflettori e che approfittano dell’ultima notte in città per vedere qualcosa. L’indomani un aereo li riporterà a Roma. In economy. Non sono mica calciatori.