Oggi si aprono le olimpiadi invernali di Sochi. Nei mesi che hanno preceduto l’evento è suonata la stessa musica che s’udì al tempo dei giochi estivi di Pechino 2008. Alla stregua della Cina, anche la Russia di Putin è stata sezionata e passata al microscopio, non senza qualche pregiudizio.

Se a Pechino tennero banco le questioni uigura e tibetana, oltre agli sfratti dovuti alla costruzione dei complessi olimpici, Sochi ha sdoganato riserve sui diritti dei gay – ieri anche il segretario dell’Onu Ban Ki-moon ha denunciato la legge omofoba russa – sull’alto tasso di corruzione e sulla capacità di contenere la minaccia terroristica. In agenda, vista l’aria che tira a Kiev, è entrata pure l’Ucraina. Ma andiamo per ordine. Iniziamo con la legge, firmata da Putin nei mesi scorsi, che teoricamente spinge i gay russi verso una più marcata emarginazione. Potrà sembrare una pura questione di diritti, se vista con la lente occidentale. Non è così per il Cremlino, che spalleggiato dalla chiesa ortodossa dà a questa misura un respiro valoriale, dipingendola come un baluardo da opporre alla deriva che, a suo dire, ha preso piede nel mondo occidentale: regalare diritti a tutti, stravolgendo i canoni di famiglia e società.

Questa visione non si spiega senza considerare che la Russia arriva all’appuntamento di Sochi all’apice della trasformazione culturale impressa da Putin a partire dal 2000, quando s’insediò per la prima volta al Cremlino. Quei valori occidentali che sotto Eltsin erano stati inoculati nelle vene del paese sono stati drenati. L’idea che s’è fatta strada è che dal modo di governare alla concezione della famiglia, dal senso della giustizia ai rapporti con la fede, la Russia presenta caratteristiche di civilizzazione proprie, non barattabili. La Russia è un ponte tra Europa e Asia, ma non è né Europa e né Asia. È semplicemente Russia.

A Sochi non ci sarà Obama, come molti altri leader mondiali. L’assenza si motiva con la riprovazione per i diritti erosi ai gay russi, ma nasconde qualcosa di più profondo: una fatica a capire la Russia. Con Mosca si fanno affari economici, ma c’è scarsa empatia.

Al contrario dei colleghi europei, Enrico Letta a Sochi ci andrà. Il presidente del consiglio ha ricevuto un rapporto di Amnesty International che evidenzia varie violazioni compiute da Mosca a livello di libertà di stampa, espressione del dissenso e ovviamente, diritti delle minoranze sessuali. In altre parole si chiede a Letta di fare da portavoce delle riserve occidentali sull’impalcatura giuridica della Russia.

Se c’è una cosa che ultimamente ha dimostrato il muro che separa gli euro-atlantici dai russi, questa cosa è l’Ucraina. Per i primi è attraversata da scosse libertarie e vuole l’affrancamento da Mosca. I secondi non riescono a pensare i loro progetti eurasiatici senza Kiev, luogo dove è sorto il primo stato russo della storia e dov’è avvenuta la conversione al cristianesimo orientale. In Ucraina, al momento, non si combatte più sulle strade. Governo e opposizione cercano di negoziare una via d’uscita condivisa alla crisi, ma senza risultati. La tattica di Yanukovich sembra abbastanza chiara:prendere tempo. Oggi arriva a Sochi. Dopo la cerimonia d’apertura dovrebbe discutere con Putin. C’è da credere che tornerà a casa con qualche consegna.

Alle spalle di Sochi svettano le alture del Caucaso. Lì si disputano molte delle competizioni sportive dei giochi. Poco oltre ci sono Cecenia, Daghestan, Inguscezia, Ossezia settentrionale, soggetti federali dove da anni è in corso una ribellione separatista. Fu nazionalista al tempo della prima guerra cecena. Adesso ha tratti islamisti radicali. Si guerreggia con le armi, ma ci si fa anche saltare in aria. Il più delle volte a Mosca. Recentemente però è stata Volgograd, l’antica Stalingrado, l’obiettivo dei terroristi. Dista qualche centinaio di chilometri da Sochi e la cosa ha suscitato allarme, visto che i ribelli hanno annunciato in estate di essere pronti a colpire la città olimpica. Mosca ha appena riferito che la mente di quella strage, un uomo di trent’anni, è stato ucciso nel Daghestan. Forse un modo per rassicurare sul fatto che a Sochi, dove c’è un dispiegamento di uomini e misure imponente, tutto filerà liscio. Ma si può stare davvero tranquilli?

Chiudiamo con la corruzione. L’olimpiade ha trasformato Sochi. Non è più una tranquilla città di villeggiatura sul Mar Nero, ma un posto strapieno di palazzi e infrastrutture ultramoderne. Gli oligarchi amici del Cremlino, si dice, si sono fiondati su questa torta, facendo artificiosamente lievitare la fattura. Oggi, comunque, iniziano i giochi. E può tranquillamente capitare che, come a Pechino nel 2008, si smetterà di parlare di politica per concentrarsi sullo sport.