Vuole «rimanere estraneo alla contesa elettorale», il Gruppo Caltagirone, perciò querela. E Il Messaggero, di proprietà della Caltagirone Editore, inserisce la notizia in un’intera pagina dedicata – come spesso accade negli ultimi giorni – a Roma 2024. Da un lato, un’analisi per ribadire che le Olimpiadi sono un’occasione da non perdere, un «modello di sviluppo» per la Capitale al pari dell’Expo per Milano, dall’altro la notizia che il Gruppo Caltagirone si ritiene diffamato da un servizio giornalistico andato in onda durante la trasmissione La Gabbia, su La7, dedicato alla candidatura italiana e al villaggio olimpico che dovrebbe sorgere a Tor Vergata, e ha perciò querelato il conduttore Gianluigi Paragone, l’autore del servizio Manuele Bonaccorsi, Giovanni Caudo, ex assessore all’urbanistica della giunta Marino, e l’urbanista Paolo Berdini che aveva rilasciato un’intervista e che Virginia Raggi, candidata pentastellata a sindaco, ha indicato nella sua squadra di governo. Il paginone del quotidiano si chiude poi con un corsivo del direttore Virman Cusenza particolarmente accanito contro Berdini dall’eloquente titolo: «Un limite alla spregiudicatezza politica».

Spiega il Gruppo Caltagirone che nessuna delle sue società «possiede terreni a Tor Vergata né in quel quadrante di Roma», e invece «i terreni di cui si parla nel servizio sono di proprietà pubblica (Università Tor Vergata)». Spiega anche che «la società Vianini Lavori del Gruppo Caltagirone, insieme ad altre 9 imprese di costruzioni (e quindi senza alcuna esclusiva), è concessionaria dei lavori per l’Università», e che «la quota di Vianini Lavori nel Raggruppamento Temporaneo di Imprese è di circa il 33%». Una concessione, quella sui lavori per l’Università, ottenuta, specifica bene la nota del Gruppo, «a seguito di gara europea vinta nel lontano 1987». Trent’anni fa. E non è chiaro per quanto ancora.

Soprattutto, non è chiaro quanto i cittadini – italiani, secondo Il Messaggero, solo romani secondo altri, ma poco importa – pagherebbero l’opera di realizzazione del villaggio olimpico che era già prevista nei lavori per le Olimpiadi 2020. La «città dello sport» a Tor Vergata era un progetto avviato nel 2005 dall’allora sindaco Walter Veltroni e che doveva costare 60 milioni di euro, compresa la cosiddetta Vela di Calatrava, lo stadio del nuoto rimasto incompiuto. Nemmeno il tempo dell’assegnazione dei lavori alla società Vianini che già il costo era lievitato a 120 milioni. Ricorda perfino Wikipedia che «tra il 2006 e il 2007, pur non avanzando i lavori di costruzione, si vide l’ulteriore raddoppio dei costi di costruzione che arrivarono così a 240 milioni di euro». Poi nel 2009 «la costruzione della “città dello sport” fu bloccata per mancanza di fondi nonostante si fosse speso, fino a quel momento, 4 volte la cifra inizialmente stimata per la realizzazione dell’opera».

Quando poi nel 2011 Roma si candidò per le Olimpiadi 2020, il cantiere venne riaperto e furono stimati necessari circa 660 milioni di euro per completare l’opera, 11 volte il prezzo iniziale. Ora l’ambizione è ridimensionata, e l’opera portata all’osso con il villaggio olimpico, dove alloggerebbero gli atleti (17 mila posti letto), e la conclusione dello stadio del nuoto di Calatrava. Secondo Luca di Montezemolo, il presidente del comitato Roma 2024, il costo complessivo degli impianti permanenti (villaggio olimpico, main press center, cycling arena, parco naturalistico, stadio Flaminio e vele di Calatrava) sarebbe di 2,1 miliardi, di cui «400 milioni per lo stadio del nuoto», ha puntalizzato il presidente del Coni Giovanni Malagò. Ma forse non sono state messe in conto le spese per adeguare la mobilità urbana e soprattutto il collegamento tra gli altri impianti cittadini e Tor Vergata, estrema periferia est della Capitale. Nel dossier Roma 2020, invece, questa voce di spesa c’era era pari circa a 1,2 miliardi, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore.

Ricorda l’associazione Radicali italiani in un dossier apposito sui costi dei Giochi 2024, che la «mastodontica opera di Calatrava è già costata agli italiani oltre 210 milioni di euro (più Iva). E gli altri 426 milioni necessari per il completamento rappresentano da soli il 24,3% delle risorse necessarie a concludere le 683 opere pubbliche incompiute censite dal ministero delle Infrastrutture e dall’Ance: 83 delle quali nel Lazio, la regione in assoluto più funestata dal fenomeno».