L’ideologia del M5S che ha impastato appartenenze opposte in nome del governo, da Confindustria ai centri sociali più duri, trova la corda sul dossier Olimpiadi a Torino. Chiara Appendino, sindaca eletta con i voti fondamentali di una moltitudine di movimenti locali, non è riuscita a convincere quella parte della sua maggioranza schierata contro grandi eventi e grandi opere.

In un crescendo rossiniano, confidente che la minaccia «tutti a casa» porti a miti consigli gli insorti, la sindaca procede come un carro armato. Rifiuta il confronto in aula e porta avanti una trattativa solitaria con Roma. Però accade l’imprevedibile: i pochi dissidenti della prima ora aumentano fino ad essere in dieci-dodici a denunciare il modus operandi della sindaca. E nella notte di lunedì, durante una riunione di maggioranza, in otto abbandonano il palazzo del Comune mentre Appendino esclama un inelegante «vi mando tutti a casa»; gli altri quindici le danno mandato di andare a Roma dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Giorgetti e presentare un dossier per la candidatura olimpica non coperto dalla fiducia del M5S. «E’ andato bene», l’unica dichiarazione di Appendino, ieri sera, a proposito dell’incontro a palazzo Chigi.

La sindaca oggi tornerà incontrare la sua maggioranza, nuova tappa di un percorso accidentato che si protrae da mesi. Dapprima la negazione che esistesse un dossier olimpico, circa un anno fa, poi le prime ammissioni, poi la marcia a tappe forzate della sindaca desiderosa di recuperare con un coup de théâtre dopo varie peripezie giudiziarie e politiche.
E mentre Confindustria applaudiva il «realismo», la sinistra interna organizzava una piccola fronda. Dovevano sgretolarsi in fretta gli anti olimpici, prima blanditi poi umiliati pubblicamente dalla telefonata di «Beppe» durante un’assemblea, azzittiti dai neo ministri 5 Stelle. All’inizio nella maggioranza pentastellare erano appena in tre ad essere contrari alla riedizione olimpica. Dicevano: «Ma come? Abbiamo detto per anni che le Olimpiadi del 2006, organizzate dal Sistema Torino del Pd, sono state una mezza catastrofe: e ora vogliamo rifarle noi?». Logica stringente, anche perché intanto in tutto il mondo si susseguivano referendum cittadini che bocciavano le candidature avanzate da sindaci e industriali. Sion, in Svizzera, è soltanto l’ultima città che ha detto «no» alle Olimpiadi del 2026.

Ma nel momento in cui la minoranza protestava garbatamente chiedendo tavoli di concertazione dove costruire un percorso condiviso, la sindaca rifiutava il confronto in sede istituzionale. Così la minoranza si è infoltita e inferocita – i 5 Stelle sanno essere fedeli, ma sono anche permalosi e tignosi – perché sul banco degli imputati finisce l’impossibilità da parte dei consiglieri comunali di vedere, fino a due giorni fa, e modificare il pre dossier olimpico.

Un plico di carta pieno di segreti sensibili, sostiene l’architetto Alberto Sasso, l’uomo che risolve i problemi spedito da Grillo a Torino, dopo essere passato da Roma quando c’era il guaio dello stadio, per redigere un progetto di Olimpiade sostenibile e a poco prezzo: due miliardi di preventivo, il quadruplo di quanto preventivato nel 1999 per le precedenti edizioni. Al tempo si tennero bassi, e arrivarono a tre miliardi di costi effettivi, in linea con il costo medio certificato con l’Oxford Institute.

Il segreto delle Olimpiadi torinesi sarà il riciclo degli impianti esistenti, dicono i proponenti: anche se il costo di ristrutturazione è superiore al costo finale della costruzione di dodici anni fa, perché bob e trampolino sono devastati e saccheggiati. Ma, effettivamente, a meno di scempi, nuovo cemento non dovrebbe essere gettato: a differenza dell’altra candidata, l’eterna rivale del provincialismo torinese, Milano. Che non ha né impianti né opposizione come a Torino.
In una situazione già insofferente le gaffe si susseguono: sempre l’architetto Sasso nel pieno dello scontro interno al M5S sosteneva: «Io giudico positiva la gestione di Torino 2006, gli impianti sono in buono stato», cancellando con una frase anni di furibondi attacchi al Pd, accusato di non essere stato in grado di organizzare degne Olimpiadi 12 anni fa. Il vicesindaco Montanari le definì anni fa «un’occasione sprecata», uno dei giudizi più benevoli nel mondo 5S: oggi la gestione è diventata ufficialmente «positiva».

Il governo deciderà nei prossimi giorni quale città sarà la candidata alle Olimpiadi del 2026: potrebbe giungere una combinazione Torino- Milano, ma anche in questo caso, sempre in nome dell’eterno derby, il capoluogo piemontese non gradirebbe e si sfilerebbe, trovando per altro una via di fuga dignitosa al Movimento 5 Stelle in nome dell’orgoglio sabaudo da difendere.