Dopo quattro anni di trattative serrate poco trasparenti e molto complicate, ieri a Strasburgo il Parlamento europeo ha approvato la nuova direttiva Ue che permetterà agli stati membri di vietare sul proprio territorio la coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm); possibilità che viene garantita anche per quegli Ogm che sono già stati autorizzati a livello comunitario.

Si tratta dunque di una norma che rafforza quella sovranità nazionale che le multinazionali del biotech hanno cercato di mettere in discussione in nome di una libertà di commercio che avrebbe potuto (e potrebbe) condizionare il sistema agroalimentare del pianeta. La partita non è ancora finita e considerando la posta in gioco a pensar male non si fa peccato. Si spiega così la prudenza con cui alcune associazioni ambientaliste hanno accolto la (sostanzialmente) buona notizia che in fondo era attesa da anni. Il timore è che alcune parti piuttosto deboli e confuse della direttiva sembrano scritte dagli azzeccagarbugli per lasciare spazi di agibilità alle aziende che commerciano sementi modificate.

Il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina non nutre dubbi in proposito e passa all’incasso. “In materia Ogm – spiega – il punto di novità europeo è molto importante e si iscrive nei successi della presidenza italiana. Non era scontato che finisse così”. Il ministro ha anche confermato la vocazione Ogm-free del governo. Altro fatto tutt’altro che scontato, anche se nessun governo europeo (Spagna e Portogallo a parte) oggi potrebbe permettersi di sfidare l’opinione pubblica lasciando campo libero agli Ogm: 8 italiani su 10 da un decennio dicono di non volerne sapere. “Continuo a rimanere dell’idea che l’Italia – ribadisce il ministro – faccia bene a lavorare oltre il tema Ogm sì Ogm no, confermando la non coltivazione perché il modello agroalimentare italiano ha bisogno di posizionarsi sempre di più su fattori distintivi che stanno tutti dentro il lavoro sulle qualità agroalimentari italiane. Per questo una coltivazione Ogm mi sembrerebbe incoerente con questo lavoro che dobbiamo fare”.

La nuova direttiva è stata approvata con 480 voti favorevoli, 159 contrari e 58 astenuti (tra due anni si cercherà di raggiungere un nuovo accordo unanime). Le nuove norme entreranno in vigore in aprile. Si può dire che il braccio di ferro tra paesi pro e contro gli Ogm alla fine si sia risolto in favore di questi ultimi, anche se non va trascurato il fatto che la libertà di dire “no” agli Ogm viene compensata dall’introduzione di procedure più snelle per la loro autorizzazione a livello comunitario. Significa che uno stato d’ora in poi potrà più facilmente decidere anche di “aprirsi” agli Ogm, creando non pochi problemi ai paesi confinanti (perché mai uno stato dovrebbe convertirsi agli Ogm, per fare un esempio, lo spiega il caso dell’Ucraina che ha appena fatto gli onori di casa a Monsanto, mentre prima della “svolta” filo occidentale quei semi erano vietati).

Le norme approvate ieri dicono che gli stati membri contrari agli Ogm possono esprimere il proprio diniego durante la fase di approvazione comunitaria, inoltre potranno vietare la coltivazione con un divieto valido entro dieci anni dall’approvazione comunitaria (il testo precedente ne indicava due). In più, potranno vietare la coltivazione non solo di un singolo tipo di Ogm ma anche di un gruppo di Ogm che presentano caratteristiche simili. Un altro miglioramento decisivo, rispetto al testo precedente, cancella la norma secondo cui uno stato per vietare gli Ogm avrebbe dovuto confrontarsi direttamente con la società biotech: sarà invece la Commissione europea a fare da cuscinetto per la trattativa.

L’aspetto più scivoloso della normativa, quello che lascia perplesse alcune associazioni, si riferisce invece alla motivazioni con cui uno stato sarà chiamato a spiegare il divieto di coltivazione. I divieti potranno essere motivati per ragioni socio-economiche, di politiche agricole, di interesse pubblico, di pianificazione urbana e – naturalmente – anche per “ragioni di politica ambientale”. Tuttavia in quest’ultimo caso la valutazioni non potranno fornire valutazioni opposte rispetto a quelle fornite dall’Autorità europea di sicurezza alimentare (Efsa), solitamente piuttosto tenera nel valutare l’impatto degli Ogm.

Il problema relativo al potenziale inquinamento dei campi Ogm nei pressi delle frontiere è stato risolto imponendo alcuni vincoli: misure obbligatorie di “coesistenza” (la distanza di sicurezza tra un campo e l’altro, poiché i pollini volano per chilometri) e la costruzione di barriere fisiche, a meno che i paesi non siano separati da montagne o mare. Stando così le cose – e forse sottostimando la capacità di persuasione delle multinazionali del biotech – l’Europa può dirsi quasi salva dall’invasione. Oggi, infatti, solo la Spagna coltiva una superficie considerevole di Ogm (116 mila ettari di mais Monsanto 810, l’unico fino ad ora autorizzato dalla Ue). Mentre altri paesi coltivano piccoli appezzamenti (Portogallo 9 mila ettari, Romania 217 e Slovacchia 189).