Si torna alle urne oggi e domani in Egitto per il referendum costituzionale. È la seconda volta in poco più di un anno che gli egiziani si esprimono sulla legge fondamentale dopo le rivolte del 2011. In questo caso, dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013, si tratta di un referendum sulla popolarità del Capo delle forze armate, Abdel Fattah Sisi. Lo ha confermato lui stesso alla vigilia del voto, ammettendo che potrebbe annunciare la sua candidatura «se il popolo lo vorrà» e l’esercito lo sosterrà. Se il testo, approvato nel dicembre scorso, da una Commissione nominata dal governo ad interim, dovesse passare con ampio margine, come dicono i sondaggi, Sisi otterrebbe un primo via libera elettorale per proseguire nella repressione degli islamisti e per la sua candidatura alle presidenziali.

Per il boicottaggio del voto è l’Alleanza per il sostegno della legittimità, la coalizione composta da Fratelli musulmani, salafiti delle gamaat al islamyya ed esponenti del partito moderato Wasat, le forze politiche che si sono opposte al colpo di Stato e continuano a sostenere Morsi come legittimo presidente. Con loro i Giovani contro il golpe, che riunisce i giovani di Libertà e giustizia, partito politico della Fratellanza, che si sono opposti ai continui arresti di islamisti. Per esprimere il loro dissenso, hanno chiesto ai loro sostenitori di scendere in piazza a oltranza. Così alla vigilia del voto si contano già 6 morti, 15 feriti e 169 arresti di islamisti dopo gli scontri tra sostenitori della Fratellanza e polizia. Il partito salafita al Nour, che aveva sostenuto il tentativo della Fratellanza di governare l’Egitto, ha chiesto ai sostenitori di votare «sì» al referendum costituzionale. Sin dalla deposizione di Morsi, i salafiti si sono mostrati pro esercito per evitare lo scioglimento di un movimento da sempre legato agli uomini del vecchio regime e della Sicurezza di Stato. Uno dei principali leader e predicatori salafti, Yasser Borhani ha assicurato il suo sostegno ai militari, sebbene nel nuovo testo costituzionale sia stato cancellato l’articolo 219 della Carta del 2012 che permetteva un’ampia applicazione della legge islamica nel diritto ordinario.

Il cartello elettorale dei liberali, socialisti e nasseristi che si oppongono al governo islamista, si presenta diviso e vicino allo scioglimento alla vigilia del voto. Se l’ex diplomatico Amr Moussa e guida della Commissione per la riforma costituzionale ha chiesto ai sui sostenitori di votare «sì», vari sono i distinguo. Le prime divergenze sono sorte con la candidatura alla presidenza annunciata dal secondo alle presidenziali del 2012, Hamdin Sabbahi. Molti esponenti del movimento si sono detti favorevoli alla discesa in campo del ministro della Difesa Sisi. Il movimento 6 Aprile, nato con le proteste dei lavoratori del Delta del Nilo nel 2008 (11 suoi leader arrestati per violazione della legge anti-proteste), si è espresso per il «no». Insieme a 6 Aprile, anche i socialisti rivoluzionari di Hossam El Hamalawy contrastano il testo e i limiti imposti alle libertà fondamentali dall’esercito. Infine, il partito per un Egitto forte, guidato dall’islamista moderato, Moneim Abul Fotuh ha espresso dissenso per la nuova Costituzione egiziana, criticando in particolare la presenza nella bozza, sottoposta al voto questa settimana, di processi militari ai civili e l’ampio potere concesso al ministero della Difesa.

Merita uno spazio a sé il partito Dostour (Costituzione) di Mohammed el Baradei, il politico che ha lasciato il Paese dopo lo sgombero forzato del sit-in islamista di Rabaa el Adaweya del 14 agosto scorso (oltre 700 vittime). Questi liberali non hanno preso posizione in merito al referendum. Molti di loro si sono espressi a favore dell’approvazione del testo definitivo, altri, in riferimento anche agli attivisti del movimento in prigione, boicotteranno i seggi o voteranno «no».