Ennesima giornata di protesta in Catalogna oggi. Allo sciopero generale, proclamato da alcuni sindacati indipendentisti, ma non sostenuto dai principali sindacati Ccoo e Ugt, si aggiunge una manifestazione stasera alle 18 e delle proteste simboliche davanti a tutti i posti di lavoro alle 12.

Queste ultime due iniziative sono sostenute anche dai grandi sindacati, dalla Tavola per la Democrazia (che riunisce molte entità catalane) e da Catalunya en comú, il partito di Ada Colau che schiera Xavi Domènech come candidato presidente alla Generalitat.

Il motivo dello sciopero e delle proteste è l’incarcerazione del governo catalano e dei dirigenti delle associazioni indipendentiste Òmnium cultural e Anc, i famosi «due Jordi».

La Confindustria catalana (Foment del treball) ha cercato di bloccare lo sciopero ma il Tribunale superiore di giustizia catalano ha respinto ieri sera il ricorso. Sabato comunque si ripete: una nuova marcia di protesta organizzata da Anc e Òmnium. E di qui fino al 21 dicembre, giorno delle elezioni, sembra proprio che le mobilitazioni di tutti i tipi non diminuiranno.

Ne abbiamo avuto un esempio anche ieri: circa 200 sindaci catalani sono volati a sorpresa a Bruxelles per sostenere il fuggitivo (o esiliato, come preferisce definirsi lui) Puigdemont, per denunciare la repressione dello Stato spagnolo e chiedere la liberazione dei «prigionieri politici».

Al suono dell’inno catalano Els segadors, si sono fatti una foto (prontamente postata sulle reti sociali) con un grande cartello «Freedom political prisoners» davanti alla Commissione Europea. In serata hanno incontrato Puigdemont e i quattro ministri scappati a Bruxelles in un atto pubblico dove l’ex president ha chiesto nuovamente alle istituzioni europee di intervenire e denunciato: «Da Filippo V a Filippo VI, l’assenza di libertà e l’annullamento dell’autogoverno è stata la cosa più frequente in Catalogna».

Ieri notte alle 24 era anche la scadenza per la presentazione delle coalizioni. A meno di sorprese dopo la chiusura del giornale e nonostante gli appelli dell’ultima ora di Puigdemont e di Anc e Òmnium, sembra che PdCat e Esquerra Republicana andranno separati alle elezioni: il PdCat di Puigdemont rischia di più, anche se con l’ex president esiliato come capolista, conta di riuscire a mantenere le posizioni.

Rimane aperta fino a sabato (per questo sono stati presentati «marchi bianchi» elettorali, in attesa della decisione) la possibilità che la Cup, Erc e pezzi di Podemos guidati dall’ex segretario catalano di Podem, Albano Dante Fachin, costruiscano una lista unitaria.

Intanto i militanti di Podem si sono espressi, con una partecipazione record (70%) e hanno deciso che Podem deve correre con Catalunya en comú, come volevano sia Colau che Iglesias (e non voleva Fachin).

Sul fronte giudiziario, due elementi rilevanti. Il primo è che la giudice dell’Audiencia nacional oggi inizia la confisca dei beni dei ministri del governo catalano per un valore di 6,2 milioni di euro dato che non hanno consegnato la cauzione richiesta: è la cifra fissata dalla magistrata che dovrebbero pagare gli accusati nel caso di condanna per malversazione di denaro pubblico.

Il secondo, assai più rilevante perché non abbassa la tensione, è che l’Audiencia nacional, con il solo voto contrario di un magistrato su cinque, ha stabilito la piena competenza della sua giudice per le indagini sugli ex ministri catalani.

Secondo i magistrati dell’Audiencia nacional, anche se i reati di sedizione e ribellione in effetti non sono fra quelli che può giudicare questa istanza giuridica pensata per delitti come il terrorismo, tuttavia la giudice ha la piena competenza per istruire il caso poiché il delitto in questione può «attentare alla forma di governo» e i fatti indagati rispondono «a una strategia disegnata» dai massimi responsabili politici «in connivenza» con i leader delle associazioni indipendentiste.

In molti, tra cui il partito socialista che si era apertamente espresso in questo senso ieri mattina per bocca dell’ex presidente del Congreso Patxi López, avevano auspicato che il caso passasse al Tribunal Supremo, massima istanza giuridica ordinaria, che sta già indagando i membri della presidenza del Parlament catalano per gli stessi reati, ma in maniera assai più garantista.