Violenza, corruzione e appelli al boicottaggio connotano, a diverso titolo, i quattro appuntamenti con le urne che interessano oggi Haiti, Guatemala, Colombia e Argentina. La campagna elettorale haitiana prevede il primo turno delle presidenziali e il secondo delle legislative. Il 9 agosto, le parlamentari furono segnate da irregolarità e denunce per frode e da otto morti. Si recò a votare solo il 18% e appena 10 candidati – su 139 incarichi da rinnovare – vennero eletti: due senatori e otto deputati. L’opposizione più radicale (Michel André, uno dei leader di Resistenza democratica e popolare) vorrebbe che fossero invalidate e per oggi invita al boicottaggio. Secondo André, la compagine dell’attuale presidente Michel Martelly – il Partito haitiano Tet Kale (Phtk), che propone Jovenel Moise e che conta sull’appoggio dell’imprenditore Steeve Khawly, del partito Bouclier – prepara un golpe istituzionale.

Martelly, che lascerà l’incarico al nuovo eletto il 7 febbraio del 2016, eletto nel 2011 col forte sostegno degli Usa, negli ultimi tempi si è avvalso della mano tesa di Petrocaribe e dei paesi dell’Alba. Con il programma venezuelano Mision Vivienda sono state costruite 1.500 case popolari. E l’Unicef ha riconosciuto i progressi compiuti in campo educativo per la popolazione tra i 15 e i 24 anni. Favorito dai sondaggi è però il candidato di opposizione Jude Celestin, che corre per la Lega alternativa per il progresso e l’emancipazione di Haiti (Lapeh) più altri tre partiti alleati. Terza più accreditata, Maryse Narcisse, una medica che si presenta per il partito dell’ex presidente Jean-Bertrand Aristide, Famni Lavalas. Ha il suo principale bacino di voti nelle periferie più povere e popolate della capitale. La settimana scorsa, a Cite Soleil, una delle roccaforti di Aristide, scontri tra polizia e gruppi armati hanno provocato 15 morti, 20 feriti e diversi detenuti. In un paese ancora prostrato dal devastante terremoto del 2010, dal successivo colera e dalle tutele internazionali, si presentano 50 candidati, molti dei quali sconosciuti. Ben pochi hanno però presentato programmi chiari o proposte convincenti per tirar fuori dal baratro la bandiera di Toussaint Louverture.

Secondo turno, invece, oggi, in Guatemala. Competono per la presidenza l’ex comico conservatore, Jimmy Morales, favorito e candidato dal Frente de Convergencia Nacional, e la progressista Sandra Torres, della Unidad Nacional de la Esperanza. In un paese che, dalla fine della guerra civile (1960-’96), ha continuato a essere governato dalle destre, Torres ha partecipato a una rara parentesi di centrosinistra, guidata dall’ex marito Alvaro Colom (2008 al 2012). Dopo Colom è stato eletto l’ex generale Otto Pérez Molina, ora in carcere, al centro del grande scandalo per corruzione detto La Linea. Un processo istruito dalla Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala, creata dalle Nazioni unite.

«Gli Stati uniti manipolano la giustizia in Guatemala», ha detto Molina, chiedendo l’intervento della Celac. Un pensiero che, da un’altra angolatura, sostiene anche la sinistra, che ha partecipato alle grandi manifestazioni contro la corruzione. Alle ultime elezioni generali del 6 settembre, i partiti di sinistra hanno totalizzato circa il 15% dei deputati.

Domenica di voto anche in Colombia: per eleggere oltre 1100 sindaci, 32 governatori e i parlamentari locali e regionali. Dalle tendenze nelle regioni più influenti come Valle del Cauca o Antioquia, ma soprattutto nella capitale Bogotà potrà emergere il successore di Manuel Santos per le presidenziali del 2018. Il sindaco di Bogotà è considerato il secondo incarico dopo quello del presidente. Finisce il mandato del progressista Gustavo Petro. La sinistra del Polo democratico alternativo (Pda) candida Clara Lopez, data terza nei sondaggi. La precedono, entrambi dati al 32%, l’ex sindaco Enrique Peñalosa (movimento Equipo por Bogotà) e Rafael Pardo, ex ministro del Lavoro di Santos, sostenuto dal Partido Liberal e da quello della U. Peñalosa è stato sindaco dal 1997 al 2000 ed è appoggiato, oltreché dal Partido Conservador, da Cambio Radical, del vicepresidente German Vargas Lleras: che ne ricaverebbe forza per candidarsi alla guida del paese.

Un altro volto della destra, ma non proprio di quella paramilitare, impersonata dall’ex presidente Alvaro Uribe, che nella capitale candida il cugino dell’attuale presidente, Francisco Santos, quarto classificato. Ma la novità è rappresentata dalla presenza elettorale di alcune organizzazioni popolari che sostengono il processo di pace in corso all’Avana, come Marcia Patriottica e Congresso del popolo, ospitati sotto il simbolo del Pda. Forze che, se si arriva a una soluzione politica del conflitto armato e al rientro nella vita politica della guerriglia, chiedono un cambiamento strutturale per un paese pervertito dalla violenza di stato e dal paramilitarismo. Il senatore del Pda Ivan Cepeda, che sta indagando su Uribe, ha denunciato in questi giorni la sua lunga mano giudiziaria, il procuratore Alejandro Ordonez, deciso a inabilitare Cepeda. Oggi sarà al lavoro anche la delegazione di osservatori internazionali inviati dall’Osa e guidata dall’ex presidente guatemalteco Alvaro Colom.

L’Argentina va invece al primo turno per eleggere il successore di Cristina Kichner, che non può più ricandidarsi e che propone l’imprenditore Daniel Scioli, del Frente para la Victoria. Scioli risulta primo nei sondaggi, seguito dal rappresentante di Cambiemos, il conservatore Mauricio Macri e dall’altro rappresentante delle destre, Sergio Massa, del Frente Renovador. Oggi si eleggono anche i governatori in 11 dele 24 province, tra cui quella di Buenos Aires, dove si concentra quasi il 40% dei 32 milioni di aventi diritto. Per questo, il conteggio dei voti sarà più lento. Il kirchnerismo ha già denunciato tentativi di frode da parte dell’opposizione.