Oggi è un giorno importante nell’estate renziana, ma lo è anche e soprattutto per l’economia italiana. Vengono diffuse infatti le stime dell’Istat sull’andamento del Pil, e si prevede un disastro: sicuramente un taglio sostanzioso rispetto alle previsioni di gennaio, con una crescita praticamente (questo l’Istat lo ha già anticipato) piatta. Se non, addirittura, il ritorno della recessione.

E sì, perché se dopo il -0,1% dei primi tre mesi arriverà un altro -0,1%, sarà infatti recessione tecnica: due segni negativi in due periodi consecutivi. Il governo stesso sa che con i numeri ci deve andar cauto, e infatti ha provveduto già per conto suo a raffreddare le ultime valutazioni dell’Istat, quelle diffuse a fine giugno: l’Istat prevedeva allora per il secondo trimestre un Pil oscillante tra -0,1% e +0,3%. Intervallo ora compresso, nelle valutazioni dello staff economico di Palazzo Chigi, tra -0,1% e +0,1%.

D’altronde i dati del Pil non sono importanti solo per un fatto di immagine e riuscita della politica economica del governo, ma impattano direttamente sulla gestione dei conti pubblici. Se il Pil si abbassa, il rapporto deficit/Pil ovviamente si alza, e abbiamo quindi sempre minori margini di manovra per eventuali azioni di rilancio della crescita, quelle a cui terrebbe tanto lo stesso Renzi. Va ricordato poi che nel Def, il Documento di economia e finanza, il Pil per quest’anno (l’intero 2014) è dato addirittura al a +0,8%. Cifra da sogno, visti almeno i primi due trimestri.

Il premier si è comunque detto certo, finora, sul fatto che «resteremo sotto il 3%» nel rapporto tra deficit e Pil (quest’anno il Def lo segna al 2,6%). E assicura che non introdurrà nuove tasse, né serviranno manovre correttive. Ma per Bruxelles queste rassicurazioni potrebbero non bastare. L’Italia si è impegnata non solo al pareggio strutturale di bilancio nei prossimi due anni (entro il 2015), ma è tenuta a rispettare anche i dettami del Fiscal compact, che le impongono di abbattere il debito pubblico.

Ma viste tutte queste condizioni, soprattutto l’economia che non riparte, pare molto difficile che il nostro governo possa chiedere deroghe e flessibilità all’Europa. C’è chi evoca addirittura lo spettro della troika, data in arrivo in autunno.

D’altronde, siamo ormai davvero il fanalino di coda della crescita: la Spagna viaggia sopra l’1%, e la stessa Grecia pare avviata su un percorso positivo. Insomma, i paesi che prima ci inseguivano, o che guardavamo con timore – sperando di non raggiungerli nei record negativi – adesso ci salutano dallo specchietto retrovisore.

Basta fare qualche calcolo: se ad esempio la crescita verrà ridotta dallo 0,8% allo 0,3%, modificando il Def (prima o poi quella stima dovrà essere corretta, non c’è gioco), il deficit salirà dal 2,6 al 2,8%. E cioè poco sotto il tetto del 3%, quindi addio sconti sul cofinanziamento dei fondi europei. Addio risorse in più per bonus e investimenti.

Ma anche il quadro politico, ovviamente, risentirà di un mutato contesto economico. In questi giorni, come sappiamo, la trattativa tra Pd e Forza Italia si gioca sulle riforme, ma il partito di Berlusconi non smette di guardare con attenzione ai temi economici, sapendo che lì può fendere colpi fatali.

Nel contempo, nella maggioranza agiscono – sul compatto fronte renziano – sia le piccole truppe dell’Ncd, che quelle dei «dissidenti» democratici. Pur tirando la coperta da due parti opposte, anche loro possono indebolire Renzi.