A tre giorni da quando è sbarcato dalla nave Sea Watch, dove ha dormito con cinque colleghi parlamentari e quaranta naufraghi, dopo aver difeso la comandate Rackete, poi arrestata, perché «valutata la situazione a bordo il suo primo dovere, per il diritto internazionale e anche per l’etica cristiana e umana, è quello di salvaguardare le persone», oggi il presidente dei deputati dem Graziano Delrio deve affrontare l’amaro caso delle missioni in Libia. Sono quattro, ma a far litigare il Pd è quella a sostegno della Guardia costiera libica, ormai internazionalmente considerata inaffidabile dal punto di vista del rispetto dei diritti umani dei naufraghi che scappano da quel paese.

ALLE 11 SI RIUNIRÀ L’ASSEMBLEA dei deputati dem. In sei (Orfini, Migliore, Bruno Bossio, Rizzo Nervo, Raciti, Pini) hanno firmato la mozione di Leu che chiede di stracciare gli accordi con la marina libica. Altri non l’hanno firmata ma si sono espressi a favore. E un’avanguardia di renziani, capitanati da Roberto Giachetti, chiede al segretario Zingaretti di chiarire qual è la posizione del Nazareno.

MA NON C’È NIENTE DA CHIARIRE per Lia Quartapelle che, con i capigruppo delle commissioni difesa e esteri, ha scritto la risoluzione Pd che chiede invece di proseguire i rapporti con la Libia: «Non ci possono essere ribaltoni». Gli accordi infatti sono gli stessi del governo Gentiloni, fortissimamente voluti dall’allora ministro Minniti. Cambiare vorrebbe dire ribaltare la linea del Pd. Tanto più che «il Pd ha già votato in commissione», sottolinea Quartapelle. È così: lo scorso 6 giugno, in commissione esteri, lei stessa ha formalizzato la posizione del partito. Che lì non ha partecipato al voto perché la maggioranza non lo ha consentito per parti separate sul testo di maggioranza. Quartapelle ha annunciato il no alla premessa politica del governo,ma ilsì alle quattro missioni.

PER I DISSENZIENTI il voto va cambiato perché nel frattempo in Libia è scoppiata la guerra civile. Per la maggioranza Pd «il venir meno di un sostegno italiano al governo internazionalmente riconosciuto (quello del presidente al-Sarraj, ndr) può essere letto come una sconfessione. Dobbiamo muoverci con i piedi di piombo».

MA MATTEO ORFINI, che anche lui era sulla Sea Watch con Delrio e gli altri, la pensa all’opposto. «Chiediamo alla Libia di riportare nei lager chi scappa dai lager perché non potremmo farlo noi: è illegale», scrive su facebook: «Molti nel Pd vogliono continuare a farlo, perché quegli accordi li firmò il governo Gentiloni. Accordi che non furono mai ratificati in aula, ma ai quali alcuni di noi si opposero già allora. A me pare una posizione inaccettabile».

GIACHETTI CHIEDE che sia il Nazareno a dire una parola di chiarezza. Ma Zingaretti oggi all’assemblea non ci sarà. Ieri ha iniziato il suo ‘viaggio per l’Italia’ dalla Campania. Oggi, proprio alle 11, ha un impegno nella regione di cui è presidente: deve presentare un piano per la rivoluzione ‘green’ locale.

A GOVERNARE LA NAVE, ovvero il confronto che si annuncia acceso, ci sarà Enzo Amendola, responsabile esteri del Nazareno, e i due vice di Zingaretti, Orlando e De Micheli. Oltreché Delrio, naturalmente. Ma la sua è una posizione scomoda. Da capogruppo sosterrà la linea di maggioranza, a cui dice sì anche la corrente Base Riformista di Lorenzo Guerini. Ma da ministro di Gentiloni, e da cattolico, a suo tempo fu scettico sulla linea Minniti (fece trapelare malumore sulle briglie ai salvataggi delle navi delle Ong e il no all’intenzione minnitiana di chiudere i porti, giugno 2017). A dare argomenti a Orfini e compagni non c’è solo «il fatto nuovo» della guerra civile in Libia ma anche la recente ammissione del ministro degli Esteri Moavero: «La Libia non è un porto sicuro». Il Pd dunque dovrebbe persistere a chiedere alle corvette libiche, regalo dei due ultimi governi italiani, di riportare chi fugge nei campi di tortura da cui fugge? «Sulla Libia voglio un salto di qualità con lo svuotamento dei campi e i corridoi umanitari», dice Delrio, «su questo ritroveremo l’unità».

ZINGARETTI SI TIENE ALLA LARGA dalla vicenda che i suoi giudicano persino «surreale»: nella sostanza niente più che un regolamento di conti postcongressuale dei renziani contro Gentiloni e Minniti.

LE RISOLUZIONI ARRIVERANNO in aula domani o al più tardi giovedì. Quella della maggioranza, se approvata, farebbe decadere le altre. Ma se le missioni saranno messe al voto per parti separate – ed è quasi certo, basta la richiesta di un gruppo – è molto probabile che i dissenzienti voteranno il testo di Leu. Sancendo così una frattura interna al Pd, la prima dell’era Zingaretti.