Tutti gli incontri del campionato di calcio bielorusso in programma nel week-end, venerdì erano stati rimandati dalla polizia dopo che era circolata l’idea sui social tra tifosi e cittadini di ritrovarsi sugli spalti per urlare la propria voglia fine al regime autoritario imposto nel paese da 26 anni. Ieri a Minsk la tensione si tagliava con il coltello in attesa che stamane si aprissero i seggi per le elezioni presidenziali perchè nessuno davvero sa in questo momento quale sarà il destino del paese.

DA UNA PARTE c’è l’inossidabile Alexander Lukashenko che vorrebbe restare per un sesto mandato e dall’altro Svetlana Tikhanovskaya, moglie di un blogger divenuto popolare per denunce delle malefatte del regime e candidata di bandiera di tutte le opposizioni. Di sondaggi non ne sono circolati perché con il tasso di brogli a cui è abitato il paese, a meno di clamorose sorprese, anche queste elezioni avranno un solo scontato, vincitore. Lukashenko ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori chiamandoli al voto per posta iniziato già da 4 giorni.

Secondo i dati della commissione elettorale fino a ieri avrebbero votato in tale modalità quasi il 50% dell’elettorato. Tikhanovskaya ha puntato invece sulla mobilitazione nei seggi. Ha chiesto al suo elettorato di presentarsi nella seconda parte della giornata ai seggi e di indossare un braccialetto bianco in modo tale da poter conteggiare già all’uscita delle scuole quanti l’hanno votata. Naturalmente sono tutte schermaglie dal peso relativo perché la partita vera si giocherà nelle piazze a partire da stasera. Secondo Kommersant «Lukashenko presenterà all’opinione pubblica dei numeri che parleranno di una vittoria netta ma non schiacciante in modo da lasciare spazio eventualmente anche all’ipotesi di un tavolo con l’opposizione». Una posizione difensiva in attesa di vedere cosa è in grado di muovere l’opposizione in termini di mobilitazione popolare. La pasionaria Tikhanovskaya da parte sua ha già dichiarato di non credere in un voto pulito e ha chiesto ai bielorussi «di difendere la vittoria nelle urne, nelle strade». E nelle ultime ore tra i circoli dell’opposizione si è parlato insistentemente di sciopero generale «fino alla vittoria», ovvero fino alle dimissioni di Lukashenko.

QUANTO SARÀ ESTESA e duratura la protesta nel paese, e soprattutto a Minsk, nessuno lo sa. Giovedì quando all’opposizione è stata negato il grande parco di Minsk per il comizio di chiusura della campagna per lasciarlo a una kermesse del partito comunista tardo-staliniano (sostenitore di Lukashenko) a cui si sono presentate in tutto 50 persone, la reazione era stata forte. Oltre 20 mila persone si erano radunate in piazza Kiev per un flash-mob non autorizzato durato fino a sera. Ma ora il gioco si fa davvero duro e l’approccio della polizia nelle strade, avrà un ruolo non secondario.

SUL VOTO bielorusso pesano anche delle incognite internazionali. L’altro ieri Vladimir Putin e il conducator slavo si sono sentiti per risolvere la querelle dei 33 contractors russi arrestati il 29 luglio nei pressi di Minsk. La fumata è stata nera: Lukashenko intende usare come ostaggi politici i soldati di ventura fino alla prossima settimana. Il Cremlino nicchia e non può fare altrimenti dopo che in una intervista concessa alla Tv ucraina giovedì, Lukashenko ha sparato a pallettoni contro Mosca: «Tutti i candidati che l’opposizione aveva messo in campo erano appoggiati dalla Russia» ha sostenuto. Anche perché si vuole vedere l’atteggiamento di Varsavia e Washington.

L’UNIONE EUROPEA  e il Congresso statunitense si sono fatti sentire nelle ultime ore per chiedere «elezioni pulite» ma restano prudentemente alla finestra. Tutto è ancora possibile, ma è chiaro che un’uscita di scena di Lukashenko sulle ali di una mobilitazione popolare sarebbe per Putin (visti i chiari di luna che si prospettano in Siberia) la peggiore delle varianti.