In Salento è il momento della rabbia e della delusione. Un’intera provincia è pronta alla mobilitazione dopo il «tradimento» dei 5 Stelle per il mancato stop del governo alla realizzazione del gasdotto Tap.

Stop sul quale il Movimento ha basato le sue campagne elettorali e le sue vittorie politiche sin dal 2014, promettendone la fermata a differenza dei governi precedenti, a maggioranza Pd, che quel progetto avevano invece appoggiato e approvato.

Lezzi e Di Battista il 2 aprile 2017

Di Battista il 3 agosto 2018

In politica però le promesse non mantenute sono un virus letale. Che adesso rischia di far implodere il Movimento 5 Stelle pugliese, dopo la mancata chiusura dell’Ilva di Taranto.

Il comitato «No Tap» e i cittadini salentini, oggi in presidio sul lungomare di San Foca alle 10, località dove approderà il gasdotto che trasporterà il gas dall’Azerbaijan passando per Turchia, Albania e Grecia, non hanno intenzione di fare sconti.

E mentre una parte di essi strappa le tessere elettorali in segno di sdegno, la maggioranza chiede il conto a parlamentari e senatori pentastellati, a cominciare dal ministro per il Sud, la salentina Barbara Lezzi, la ‘pasionaria’ che per anni si è opposta, a parole e proclami, alla realizzazione del Tap.

La richiesta è semplice e chiara: «Vengano qui e portino i documenti ufficiali che attestano l’esistenza delle penali miliardarie che l’Italia dovrebbe pagare in caso di uscita: altrimenti si dimettano tutti».

Sì, perché dopo le dichiarazioni del premier Giuseppe Conte e del ministro dell’Ambiente Sergio Costa, ieri anche il vicepremier Di Maio ha ribadito il concetto al quale non crede nessuno. «Vi assicuro che non è semplice dire che ci sono penali per quasi 20 miliardi di euro. Ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente». «Le carte un ministro le legge solo quando diventa ministro – ha detto – e a noi del M5s non hanno mai fatto leggere alcunché». La realizzazione della Tap «non è che non è più conveniente farla, è che non ci sono alternative».

Di Maio il 23 luglio 2018

Di Maio il 27 ottobre 2018

Versione alla quale né il sindaco di Melendugno Marco Potì, né i «No Tap», né i cittadini e gli avversari politici, a partire dal Pd, crede, bollata dagli attivisti come «argomentazione insostenibile usata per giustificare il via libera».

«Il mantra delle penali e dei costi di rinuncia – continuano i No Tap – è la vergognosa conferma di come Tap sia stata pensata, sostenuta e giustificata grazie alla menzogna».

Perché «non è tollerabile che in una democrazia il presidente del consiglio dichiari pubblicamente il falso sui costi di rinuncia all’opera, quando tutti i ministeri hanno dichiarato ufficialmente, a seguito della richiesta di accesso agli atti avanzata da cittadini e associazioni, che non esistono documenti relativi a un calcolo costi-benefici».

L’unica possibilità di «salvezza» politica sarebbe che «tutti i parlamentari e i ministri che si erano dichiarati contrari all’opera, su cui indaga la magistratura per forzature e violazioni delle norme vigenti», alla prima occasione utile «presentino una mozione di sfiducia, aprendo una crisi di governo».

Ipotesi remota, nonostante le voci di una fronda che all’interno dei pentastellati pare stia prendendo sempre più piede.

«Se ciò non avvenisse, significherebbe che l’establishment che ha voluto l’opera tira ancora le fila, che l’attuale governo è una prosecuzione di quelli precedenti e che basta una menzogna per negare la realtà e sospendere lo stato di diritto. Questo governo, come i precedenti, vuole favorire la gigantesca lobby transnazionale che sta dietro a Tap, per questo – promettono gli attivisti – incontrerà una durissima opposizione da parte delle comunità locali, nelle piazze e nelle aule dei tribunali, compresi quelli internazionali».

Argomentazioni che trovano sponda nelle parole dell’ex ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, che conferma quanto dichiarato da tempo dal sindaco di Melendugno Potì. Ovvero che «non può esistere una penale perché non c’è un contratto (fra lo stato e l’azienda Tap, ndr) ma, in caso, una eventuale richiesta di risarcimento danni da parte dell’impresa visto che sono stati fatti investimenti a fronte di un’autorizzazione legale».