Oggi, all’Onu, l’Assemblea generale delle Nazioni unite (Agnu) vota il progetto di risoluzione proposto da Cuba contro il blocco economico Usa. Dopo oltre mezzo secolo di aggressioni e ingerenze, lo stesso Obama ha dichiarato il fallimento del bloqueo, che ha provocato all’isola caraibica danni per oltre 833.755 milioni di dollari. Dal 17 dicembre scorso – quando l’Avana e Washington hanno iniziato un nuovo capitolo nelle loro relazioni bilaterali – la questione è al centro delle trattative diplomatiche, insieme alla restituzione di Guantanamo (usata come base militare Usa) e al risarcimento dei danni subiti da Cuba.

Quale pulsante schiacceranno all’Onu gli Stati uniti? Diversi analisti sostengono che, per la prima volta potrebbe astenersi. Una posizione che influenzerebbe anche Israele, il più diretto alleato degli Stati uniti. Anche la votazione all’Onu ha ormai una lunga storia. Cuba ha provato a proporre il testo nel 1991, in pieno periodo especial. Ma gli Stati uniti fecero pressione perché venisse ritirato. Contavano, allora, che il socialismo cubano, rimasto senza appoggi economici, seguisse il crollo dell’Unione sovietica. Ma non è andata così. l’Avana ha ripresentato il testo l’anno dopo e l’Agnu lo ha approvato con 59 sì, tre contrari e 71 astenuti. Da allora, i paesi che hanno votato contro il blocco sono aumentati di anno in anno, fino a raggiungere i 188 a partire dal 2012. Durante le ultime votazioni, a sostenere il mantenimento della feroce misura sono rimasti solo Usa e Israele.

Durante il dibattito annuale della 70ma Assemblea generale Onu, che ha avuto luogo lo scorso 28 settembre, una cinquantina di rappresentanti, provenienti dai cinque continenti hanno condannato il bloqueo definendolo ingiusto e anacronistico. Il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, ha pronto un documento in cui ricapitola i passi compiuti dal 17 dicembre, riconosce il ruolo positivo di Obama – che avrebbe comunque ampia facoltà per procedere in modo spedito contro la misura – e ribadisce i passi contemplati dal suo governo per il processo di «normalizzazione». Un percorso basato sul mutuo rispetto e non sul ricatto, come quello ventilato dal New Herald a proposito dell’estradizione negli Usa di vecchi militanti di sinistra come Assata Shakur.

Il blocco economico, finanziario e commerciale contro l’Avana, intanto, resta in piedi. Di recente, la banca francese del Crédit Agricole ha dovuto pagare oltre mille milioni di dollari a diversi querelanti statunitensi per chiudere una vertenza per presunte violazioni al bloqueo. La relazione di Rodriguez si concentra anche su questo punto: il blocco delle finanze cubane. L’isola caraibica non ha infatti accesso al credito delle banche nordamericane, né delle filiali Usa in altri paesi, e tantomeno può ricevere appoggio dalle grandi istituzioni finanziarie come l’Fmi e la Banca mondiale. (