Oggi l’Argentina andrà al voto per le legislative, l’istanza elettorale di metà mandato dall’assunzione del governo di Alberto Fernández e della vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner. A settembre, durante le primarie che da un lato hanno definito i partiti abilitati a competere in queste legislative e dall’altro ne hanno designato le liste, il governo è stato battuto dalla destra di Juntos por el Cambio (JxC), il partito dell’ex presidente Mauricio Macri, mentre le forze agli estremi dell’arco politico hanno ottenuto risultati storici. La sinistra del Frente de Izquierda, pur molto staccata, è risultata terza forza a livello nazionale, e gli ultra-liberali sono emersi come un’offerta nuova, attraente e ribelle che si rivolge ai giovani.

L’EVENTO che ha chiuso la campagna elettorale del Frente de Todos (FdT) è stato l’occasione per cogliere alcuni segni della precarietà della coalizione di governo, a cominciare dalla presenza maggioritaria di movimenti sociali e del poco peronismo tradizionale, come le grandi sigle sindacali. Assente, tra le altre cose, anche la tradizionale marcia peronista. Per Fernández la sfida è quella di riunire nelle sue fila sia i movimenti sociali – che occupano per esempio posizioni nel Ministero dello Sviluppo Sociale, dove si organizzano programmi essenziali di assistenza, ma che sono anche importanti nei quartieri, dove tali programmi devono essere distribuiti e resi effettivi – che i settori conservatori del peronismo, i quali hanno guadagnato terreno internamente al governo dopo la sconfitta alle primarie, come nel caso di Juan Manzur, governatore di Tucumán che ha lasciato in sospeso la sua carica per assumere quella di Capo di Gabinetto a livello nazionale.

La perdita di voti del FdT può avere diverse spiegazioni, dall’impatto dell’inflazione, che segna un +50% dall’inizio dell’anno, alla diffusione di una foto che mostrava il presidente e la first lady a una festa di compleanno, senza mascherine o distanza sociale durante i momenti critici della pandemia, lo scorso anno. «C’erano ancora cose da fare, ma il governo se n’è reso conto e si è attivato», ammette comunque fiduciosa Anto, un’impiegata di 53 anni della zona ovest della periferia di Buenos Aires che era presente alla cerimonia di chiusura della campagna. «Sono qui a seguire Cristina, a sostenerla sempre perché in queste elezioni è in gioco tutto». Le questioni più urgenti da affrontare – afferma – sono «la fame» e «le persone senza lavoro», ma è fiduciosa perché «stiamo uscendo dalla pandemia» e «inizia ad apparire qualche lavoretto», dice. Manuel, 40 anni, che lavora come autista privato con la sua auto e vive anche lui nella provincia di Buenos Aires, spiega perché si trova all’evento del FdT: «La mia motivazione è cambiare un po’ quello che stiamo vivendo nel paese e sostenere chi può cambiarlo». Manuel dice che «per tutta la vita» è stato un peronista e che con Juntos por el Cambio «è stata una brutta esperienza».

JUNTOS POR EL CAMBIO – che in campagna ha iniziato a auto-definirsi solo con la parola “Juntos” nel tentativo di ripulire l’eredità scomoda del governo Macri – aspira a replicare questa domenica il risultato positivo delle primarie, che gli permetterebbe di ottenere un seggio in più del FdT in Congresso, togliendogli così la maggioranza. Nonostante JxC abbia ottenuto quasi gli stessi voti delle presidenziali del 2019, la diminuzione del sostegno al partito di governo – sebbene in raffronto all’alta affluenza alle presidenziali, è stata di 4 milioni – gli ha permesso di mantenere una posizione privilegiata.

QUANTO AI CONTENUTI, le proposte in campagna di JxC non si sono allontanate dal discorso liberale, piuttosto il contrario, hanno puntato a conquistare voti in un settore che è emerso con forza: gli ultra-liberali di Libertad Avanza rappresentati da Javier Milei, economista candidato a deputato nazionale per la città di Buenos Aires, dove è giunto terzo per numero di voti a settembre. Ultra-liberali e JxC hanno in comune la critica ai piani sociali – aiuti vitali per il 40,6% della popolazione che si trova sotto la soglia di povertà-, la proposta di una riforma del lavoro che cancelli diritti acquisiti come ad esempio la tredicesima e che renda più facili i licenziamenti, e anche l’orientamento a seguire alla lettera le ricette del Fmi. Il discorso anti politico e anti casta che caratterizza Milei è forse ciò che marca maggiormente la distanza tra il macrismo di JxC e gli ultra-liberali di Libertad Avanza.

IN UN SISTEMA presidenzialista come quello argentino, il Congresso si giocherà presto una partita fondamentale: votare e approvare il piano di pagamento del debito che sta negoziando il governo con il Fmi. Debito che è stato contratto in gran parte dal precedente governo guidato da Macri, ma che Fernández è incaricato di negoziare e iniziare a pagare. Uno dei punti centrali di questo negoziato è la possibilità di pagare in un periodo più lungo dei dieci anni previsti dall’accordo, e la riduzione delle sovrattasse applicate dal Fmi per il volume senza precedenti di credito concesso, il più grande dalla fondazione dell’organismo.
Il tema ineludibile in Argentina continua ad essere quindi il debito estero, perché l’intera politica economica del governo, qualunque essa sia, sarà soggetta al tipo di accordo che raggiungerà con il Fmi. E la campagna elettorale non è stata estranea a questo dibattito. Mauricio Macri – che non è in competizione diretta, ma lo è la sua ex governatrice della provincia di Buenos Aires, María Eugenia Vidal – ha criticato i negoziati che sta portando avanti il governo: «Se vincessimo le elezioni, salderemmo il debito in cinque minuti». Fernández ha risposto rivolgendosi agli elettori: «Anche io posso accordarmi con il Fondo in cinque minuti, ma non potrei mai più guardarvi negli occhi». Su questo punto, la terza forza a livello nazionale, il Frente de Izquierda, è l’unica che propone direttamente di non pagare del debito.

Dopo il voto di questa domenica alla Camera si rinnoveranno 127 dei 257 seggi mentre il Senato cambierà 24 dei suoi 72 seggi. Se il FdT non riuscirà a frenare l’emorragia di voti avuta alle primarie potrebbe complicarsi qualsiasi programma che cercherà di promuovere. Nel frattempo è certo che JxC, come ha già anticipato, porterà avanti una strategia di ostruzionismo, mettendo quanto più possibile i bastoni tra le ruote alla maggioranza.
Il voto di settembre è stato un campanello d’allarme. Il debito lasciato in eredità da Macri e la pandemia che ha segnato i primi due anni del tandem Fernández-Fernández non sono stati evidentemente sufficienti ad alleggerire il governo dalle proprie responsabilità sulla situazione economica e sociale del paese. La difficile uscita dalla pandemia e il rischio di ritrovarsi in minoranza in Congresso sono prospettive con cui Fernández dovrà fare i conti in vista dei prossimi due anni di mandato, mentre una grande fetta della popolazione argentina chiede riforme più decise e non sembra più disposta ad accettare scuse.

traduzione di Gianluigi Gurgigno