Riprende oggi a Istanbul il processo a carico di Taner Kiliç, presidente per la Turchia di Amnesty International, in carcere dal 6 giugno scorso. Taner è accusato di «associazione terroristica» con altri dieci imputati, tra cui la direttrice di Amnesty Turchia, Idil Eser.

La posizione giuridica di Taner risulterebbe essere più grave rispetto a quella degli altri indagati perché, secondo l’accusa, direttamente legato alla comunità dell’imam Fetullah Gülen, denominata Hizmet o Cemaat, che le autorità turche considerano fautrice del tentato golpe del 2016.

Una delle accuse che la procura ha presentato a suo carico riguarda il download dell’applicazione per smatphone Bylock, che gli inquirenti insistono essere il principale mezzo di comunicazione degli aderenti alla Cemaat.

Migliaia di persone sono in carcere perché sospettate dell’uso di questa applicazione.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha disposto che la presenza di Bylock sia da considerare una prova sufficiente a determinare la custodia cautelare.

Eppure le perplessità attorno all’applicazione e alla sua reale diffusione persistono. Gli esperti forensi Koray Peksayar e Tuncay Besikçi hanno presentato un rapporto secondo cui esistono applicazioni terze che, all’insaputa del proprietario del telefono, produrrebbero connessioni nascoste a Bylock. Gli esperti hanno fatto riferimento a una compagnia di software chiamata Mor Beyin.

La procura di Ankara ha recentemente dichiarato che il movimento di Gülen avrebbe deliberatamente creato applicazioni per creare false connessioni di Bylock su telefoni di utenti ignari, allo scopo di nascondere i reali utilizzatori. Vero o meno, questo sta spingendo le autorità a riconsiderare le migliaia di casi in tutto il paese. Kilic potrebbe essere uno di questi.

I dubbi riguardano i metodi con cui i servizi segreti turchi (Mit), che indagano sulla diffusione di Bylock, hanno stabilito chi abbia usufruito dell’applicazione. Secondo questi criteri gli utilizzatori del software sono infatti stimati in almeno 11mila persone.

Peksayar è entrato a far parte del team di difesa di Kilic, che ha richiesto diverse altre perizie informatiche sul caso. Tutte, incluse due analisi indipendenti commissionate direttamente da Amnesty, hanno stabilito l’assenza dell’applicazione sul telefono di Kilic.

Tuttavia la corte non ha ancora preso in esame questi rapporti. La speranza è che possa farlo nella giornata di oggi e che questo possa condurre alla sua scarcerazione.

Le altre accuse a suo carico riguardano il possesso di un conto corrente presso Bank Asya, la banca ritenuta la spina dorsale dell’impero finanziario di Gülen, oggi chiusa tramite decreto.

«Mi accusano persino del fatto che mio cognato abbia lavorato per un periodo a Zaman (quotidiano vicino al movimento di Gülen, ndr). Mia sorella si è sposata 27 anni fa. Avrebbe dovuto non sposarsi perché 26 anni dopo suo marito sarebbe diventato un terrorista?», ha dichiarato di recente in sua difesa Kilic, mettendo in luce la debolezza delle accuse che gli vengono mosse.

Amnesty continua a definire quanto accaduto «un procedimento politicamente motivato con l’obiettivo di zittire le voci critiche all’interno della Turchia». «Di fronte a schiaccianti prove della sua innocenza e a zero prove di eventuali reati, il rilascio di Taner Kilic è ampiamente dovuto», ha dichiarato Gauri van Gulik, direttrice per l’Europa di Amnesty International, che ha esternato tutta la sua sfiducia verso un sistema giudiziario, quello turco, che non seguirebbe più alcun criterio dello stato di diritto.

Amnesty ha organizzato una campagna di mobilitazione che ha raccolto oltre un milione di firme da 194 paesi per chiedere il rilascio di Kilic e degli altri difensori dei diritti umani arrestati nell’estate 2017.