Nell’estenuante gioco delle parti che oramai da anni va in scena a Bruxelles, l’accordo raggiunto tra i creditori e la Grecia, lunedì durante l’Eurogruppo, rischia di nascondere parecchie insidie. Lo stesso ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, ha ammesso che «è stato raggiunto un accordo di massima e non si è entrati nello specifico delle singole misure», precisando che «in questo momento il problema della Grecia non è il debito ma le riforme». E le riforme per i falchi, si sa, continuano ad essere sempre le stesse: taglio delle pensioni e liberalizzazione del mercato del lavoro.

Nonostante questo, Dimitris Tzanakopoulos, portavoce del governo di Alexis Tsipras è fiducioso e precisa che il pacchetto di misure previsto verrà applicato, comunque, solo dopo il 2018. E, al Presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, che aveva dichiarato che le misure per la crescita chieste da Atene per rilanciare l’economia «saranno applicate solo se ci saranno i margini necessari nei conti pubblici e dopo che le riforme richieste saranno attuate», il portavoce del governo ha definito «ovvie» le parole di Dijsselbloem. «Basta vedere – ha proseguito – quanto previsto dal Patto di stabilità per i Paesi che non sono sotto un programma di aiuti».

Intanto, oggi a Berlino si vedranno Christine Lagarde, capo del Fondo Monetario e la Cancelliera Angela Merkel. Un incontro che potrebbe essere decisivo. Tzanakopoulos spera, infatti, che Berlino possa tornare sulla strada del realismo. «Visto che tutti hanno fatto delle concessioni – sottolinea il portavoce del governo di Syriza – ci aspettiamo che la Germania faccia un passo indietro sulla richiesta illogica di mantenere l’avanzo primario al 3,5% per 10 anni».

Che la trattativa si stia sviluppando tra interlocutori che non si fidano gli uni degli altri, lo si capisce dal fatto che molti temono che i creditori possano chiedere alla Grecia di approvare il nuovo pacchetto di misure prima che finisca la trattativa sul taglio del debito e sull’avanzo primario. L’obiettivo di Atene, invece, è un accordo complessivo, che apra la strada all’ingresso del paese nel Quantitative Easing della Bce, in modo che possa rifinanziare il proprio debito senza altri aiuti. In tutto ciò, la Germania, per bocca di Schäuble, fa sapere che «comprende il fatto che, per motivi politici la Grecia non può fare ora la riforma delle pensioni, ma ciò non vuol dire che non possa avvenire in un secondo momento». «Riforma», potrebbe significare ulteriori tagli sino al 35%.

Intanto, se è vero che la disoccupazione in Grecia è scesa dell’1,5% in un anno – dal 23% di novembre 2016, al 24,5% dello stesso mese del 2015 -, secondo gli ultimi dati forniti dal ministero del Lavoro, nel solo mese di gennaio sono stati persi quasi 30 mila posti di lavoro nel settore privato. Il peggior risultato dal 2001.

E questo mentre il prossimo terreno di scontro potrebbero essere proprio i diritti dei lavoratori. Da una parte, infatti, il governo chiede la reintroduzione dei contratti collettivi. Dall’altra, l’Fmi continua a insistere su una forte liberalizzazione del mercato del lavoro, con l’avvio dei licenziamenti collettivi. Non esattamente la stessa cosa.

Il portavoce del governo ha risposto alla domanda sul contenuto relativo ai due pacchetti di misure dicendo che tutto verrà deciso lunedì prossimo nelle trattative dei gruppi tecnici che si terranno ad Atene come previsto dall’accordo di ieri.