Il 28 aprile del 2008 usciva sulla rivista on line «Carmilla» (www.carmillaonline.com) un testo di Wu Ming 1 incentrato su di una nuova categoria letteraria: il «New Italian Epic». Subito dopo si sviluppava un dibattito, davvero molto interessante, con interventi di scrittori, ricercatori, appassionati che sembrava smuovere le acque da tempo un po’ asfittiche della critica letteraria italiana. Nel gennaio dell’anno successivo vedeva poi la luce per Einaudi un libro, a firma dell’intero collettivo di scrittori – anche se raccoglieva interventi solo di Wu Ming 1 e 2 – intitolato appunto New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro. Centrale, in quel discorso, era un nuovo tipo di testo che si andava imponendo, l’Uno ovvero – parafrasando l’acronimo Ufo, Unidentified Flying Object – Unidentified Narrative Object, l’oggetto narrativo non identificato. Si tratta di un tipo di testo di cui diventa difficile identificare con precisione il genere di appartenenza. Basato sull’ibridazione, un tale modello di narrazione si pone nello spazio vuoto di intersezione tra le differenti maniere consolidate di narrare. Uno dei testi citati come esempio era un libro di grande successo, Gomorra di Roberto Saviano. Di cosa si tratta? Di un romanzo, di un reportage, di un saggio?

Ora Wu Ming 1 ha assunto la direzione di una collana dell’editore Alegre e intende sviluppare ed approfondire tale discorso. Infatti, nella presentazione, stampata nella parte interna della copertina dei primi tre libri, il curatore afferma esplicitamente di voler dare spazio esclusivamente proprio agli Uno «narrazioni ibride, nate in una “terra di nessuno” tra i reticolati dei generi, dei macrogeneri e delle tipologie testuali. Terra di nessuno che attraversa tutto il mondo ed è frequentata da sempre più autori – scrittori, registi, videomaker, ma anche giornalisti – che vogliono raccontare le loro storie con ogni mezzo necessario». Perché narrare storie è innanzi tutto un atto politico. Diffondere narrazioni significa, in ultima analisi, o contribuire e rafforzare il discorso del potere, quello dominante, pervasivo, funzionale all’attuale rapporto di produzione oppure opporsi, appunto con ogni mezzo necessario, per destrutturare tale discorso – che poi è immediatamente modo di pensare, stile di vita, acquiescienza – mostrarne tutto il fondo oscuro e aprire nuove strade, costruire nuovi mondi, pensare nuove utopie. Del resto la collana si chiama Quinto tipo, allusione a quegli «incontri ravvicinati dove avviene una comunicazione diretta, diretta, bidirezionale e collaborativa fra terrestri e intelligenze aliene». Si tratta dunque di «cercare e avvistare oggetti narrativi non-identificati, mandare segnali, stabilire un contatto con le intelligenze aliene al mainstream che li hanno prodotti, e se è possibile cooperare per pubblicarli». Perché appunto la «distruzione delle cornici, premessa all’ibridazione delle tipologie testuali» e la «collisione tra le più disparate tecniche e retoriche» sprigionano una grande potenza in grado di incoraggiare «la (ri)scoperta di un mondo».

Quinto tipo parte subito con un testo davvero interessante e, naturalmente, pienamente rispondente alle caratteristiche richiamate da Wu Ming 1. Si tratta di Diario di zona di Luigi Chiarella (Alegre, pp. 320 euro 16). L’autore è noto anche con lo pseudonimo di Yamunin, dal blog che cura in rete. Yamunin praticamente in qualunque dialetto meridionale – e Chiarella è di origine calabrese – significa «andiamo». E il libro può essere visto anche come un viaggio che l’autore compie all’interno della sua città, Torino. Tutto ha inizio quando il protagonista, ovvero lo stesso scrittore, attore e drammaturgo momentaneamente disoccupato, trova lavoro come letturista per la compagnia dell’acqua. Inizia così il suo viaggio attraverso le strade di tutta Torino, alla ricerca dei contatori da leggere, memorizzandone la lettura sul palmare fornito dall’azienda. Diario di zona raccoglie, in pratica, le pagine del blog pubblicato in rete. Ma, come ogni oggetto narrativo non-identificato, è anche molto altro. È un diario, un pezzo di autobiografia, ma è anche una mappatura della città. Topografia non solo fisica, ma anche sentimentale: l’autore si annota tuttte le lapidi di partigiani o di vittime della mafia che incontra sul proprio cammino. Narrazione dal basso, ad altezza della bicicletta che Chiarini usa per girare la città, se non racconto dal sottosuolo, dalle cantine e dai tombini in cui si trovano i contatori. Colonna sonora, sono riportati i brani delle canzoni che vengono in mente allo scrittore o che fanno da contrappunto alle varie situazioni, e viaggio letterario, con i brani dei libri che l’autore sta leggendo o che gli vengono in mente, e si va da Carmelo Bene al Sutra del Loto. E oltre a tutto ciò, e a molto altro ancora, il libro è una sorta di inchiesta che riesce a far emergere con estrema chiarezza la temperie del tempo attuale, con il suo carico di rabbia, diffidenza, con la sua guerra tra poveri, ma anche con la solidarietà che viene fuori quando meno te l’aspetti, il senso di condivisione, la dolcezza. Con il comico, l’inaspettato e il paradossale che all’improvviso si fanno strada nelle vie della città, come quella scritta sul muro che recita: «Leggete Nanni Balestrini». Il tutto con una scrittura coinvolgente e colloquiale, ma al contempo raffinata, in grado di mettere insieme le parlate e i dialetti settentrionali e, soprattutto, meridionali che si parlano nella città sabauda, lo slang di strada, inserti di vera e propria poesia, brani «alla Balestrini», appunto, senza segni di interpunzione. E che utilizza varie figure retoriche che riescono a dare un ritmo al discorso, come le frequenti allitterazioni.

Un libro, insomma, pienamente politico e non solo perché si parla di No Tav, si ricorda la storia di Sole e Baleno, si stigmatizza con forza il tradimento dei politici verso il referendum che aveva voluto l’acqua come bene comune, ma perché si oppone con forza e con ogni mezzo necessario alla retorica dominante. D’altronde, come ha detto un po’ di tempo fa Wu Ming 2: «L’unica alternativa per non subire una storia è raccontare mille storie alternative».

Quinto tipo prosegue poi con la riedizione aggiornata di un classico tra gli Uno: Il derby del bambino morto di Valerio Marchi (Alegre, pp. 219 euro 15), pubblicato dieci anni fa da DeriveApprodi e incentrato sulla sospensione della partita Roma-Lazio, il 21 marzo 2004, imposta dai tifosi, a causa della falsa notizia della morte di un bambino durante gli scontri con la polizia. Un altro esempio di come la letteratura «non deve, non deve mai, non deve mai credersi in pace».