Che cosa hanno in comune una vecchia macchina da cucire Singer, una ciotola di legno giapponese rattoppata, una manciata di sassi di fiume, un cavatappi, una vecchia cartella da scuola, un grembiule da cucina, delle cuffie insonorizzanti? Nulla, prima che i tre curatori Morrison, Olivares & Velardi non li facessero confluire dentro le due grandi vetrine del Kaleidoscope Project Space. Né il padrone che li ha posseduti e custoditi, né l’epoca, alcuni avendo millenni altri pochi decenni, né tantomeno la mano che li ha creati, alcuni essendo prodotti artificiali, altri generati dalla natura stessa. Eppure la potenza evocativa che emanano i 54 oggetti di Source Material nella loro semplicità ed estraneità è immediata.

Si sente che hanno un vissuto, mostrano i segni del tempo e dell’usura, uno accanto all’altro semplicemente, e fittamente raccolti, ma con la dignità di vere e proprie sculture. Totem carichi ognuno di significati e sentimenti. Quelli attribuiti da ognuno dei 54 personaggi che li hanno scelti e posseduti e a cui i curatori hanno chiesto di privarsene, ma anche quelli che ogni osservatore proietta o riversa su di essi.

Di fatto ogni materiale risponde a una stessa domanda, che è anche il punto di partenza del progetto: «qual è stato l’oggetto che ha segnato in modo significativo il tuo lavoro?». Hanno risposto architetti del calibro di David Chipperfield, Frida Escobedo, Italo Lupi; chefs come Fergus Henderson e Gabrielle Hamilton; designer tra cui Konstantin Grcic e Naoto Fukasawa; curatori come l’italiano Massimo Torrigiani; fotografi come Takashi Homma, e poi scrittori, stilisti, musicisti, registi internazionali. Ognuno portando la fonte materiale, tangibile della propria creatività; privandosi, seppur temporaneamente ma sempre con fatica e a malincuore, di quell’oggetto che raccontano aver catalizzato in modo diverso la sorgente infinita e inspiegabile del processo creativo accompagnando il lavoro quotidiano di creazione.

La macchina da cucire della mamma (Erwan Bouroullec, designer) così come il grembiule della anziana suocera italiana (G. Hamilton, chef), un rotolo di nastro adesivo (N. Fukasawa, designer) o una caffettiera (E. Heathcote) sono oggetti silenziosi e al contempo utili, e queste loro caratteristiche segnano inconsapevolmente e indirettamente la memoria di chi ne ha fatto uso ma anche di chi vi sta intorno. Sono il biscotto intinto nel latte di Proust: un gesto semplice e quotidiano la cui potenza evocatrice riesce però scatenare il ricordo tattile, olfattivo, rimettendo le carte in gioco e liberando l’energia che scavalca tempi e generazioni, distrugge idee per assemblarne di nuove, facendo rinascere e creando nuovi materiali dai vecchi.

In modo diverso, con la stessa carica emotiva legata alla Memoria ma in questo caso con una connotazione più universale, è nato il progetto «Un’altra vita per le gru di carta (orizuru)» presentato dalla ditta specializzata nel riciclaggio della carta Nisseysangyo con la città di Hiroshima. La storia di Sadako, deceduta in seguito alla malattia sviluppata dagli effetti della bomba atomica sganciata sulla città di Hiroshima il 6 agosto 1945 quando lei aveva due anni, è nota in tutto il mondo ed è divenuta simbolo universale di Pace.

Durante gli otto mesi di degenza Sadako continuò a piegare gru di carta, simbolo di buon auspicio e longevità, con la speranza di arrivare a mille e riuscire a tornare a casa guarita. Cosa che non avvenne, ma da allora ogni anno da tutto il mondo sono migliaia le gru di carta che arrivano in dono al Parco della Pace di Hiroshima dove le è stata dedicata una scultura in forma di gru. Come sottolinea il presidente di Nisseysangyo Hirao Shoishiro, solo contando dal 2002 al 2011 quando partì il progetto di riciclaggio, erano 100.000.000 le gru origami accumulate a Hiroshima pari a 100 tonnellate di carta. Montagne di colori, di piccoli fogli piegati da mani che si sono mosse in tutto il mondo con lo stesso desiderio di pace e solidarietà, un sentimento che carica queste piccole sculture di significati che vanno ben oltre la decorazione, divenendo catalizzatori di energia umana positiva, più efficace di ogni parola e capace di superare qualsiasi barriera culturale.

Un bagaglio di Memoria che è diventato fonte di ispirazione per Nisseysangyo che oggi riesce a ricavare dalla lavorazione di fiumi di gru di carta dalla pasta di cellulosa fino alla viscosa trasformandole in oggetti da rimettere in circolazione, da usare e indossare, come hanno provato a fare alcuni studenti dell’Accademia di Brera che presentano i loro lavori alla Fabbrica del Vapore. È solo l’inizio, ma la speranza è che le nuove forme prese dalle gru di carta nei piatti, nei biglietti da visita, nei fogli da calligrafia, possano diffondere ulteriormente lo spirito che le ha originate facendole volare da Hiroshima ai tanti angoli del mondo da cui erano partite.