Un festival nato nel 2004 a Barcellona con l’intento di narrare la «vera anima del calcio, Esperanto del mondo» attraverso la letteratura e soprattutto il cinema. Si chiama OFFside e nelle 40 edizioni svoltesi in 12 paesi ha regalato al suo pubblico oltre 400 lungometraggi e cortometraggi a tema rigorosamente pallonaro. Nel 2017 OFFside è approdato anche in Italia, riscuotendo subito un notevole successo di pubblico – 10mila presenze nelle sale cinematografiche di Milano dove si è svolta la rassegna. A dimostrazione che un genere, quello dei film a tema sportivo, non proprio così popolare in Italia, può invece suscitare interesse quando si punta alla qualità, al taglio sociale e non si indugia sulle storie stra-raccontate e stra-conosciute.

Per l’edizione dell’annus horribilis 2020 bisogna fare di necessità virtù e affidarsi a uno spazio virtuale e non fisico. Gli incontri tra autori di libri a contenuto calcistico e i giornalisti del settore, ma anche la stessa proiezione dei film si trasferisce in rete, con l’eccezione dell’evento di apertura che si è tenuto ieri dal vivo a Milano. Fino al 25 ottobre i 10 film inediti di questa edizione di OFFside si potranno scaricare dal sito www.offside.community.
Ce n’è per tutti i gusti. I cultori del football d’oltre Manica, dove narrare del Beautiful Game è sempre stata una cosa presa molto sul serio, potranno ripercorrere le gesta del grande e fumantino allenatore Brian Clough, ma anche incuriosirsi con le imprese dell’azienda di abbigliamento sportivo di culto Admiral e con l’incredibile viaggio tra Canada, Irlanda e Scozia di due tifosi «particolari» del Celtic, la metà cattolica calcistica (e non solo) di Glasgow. Il calcio diventa un po’ la scusa per raccontare il mondo che ci circonda in Umesto Top Liste, sulle tifoserie serbe nei fatidici anni Novanta, e in Footballization, ambientato nei campi profughi libanesi. Non manca una concessione al mainstream, con l’epopea del Barcellona guardioliano dispensatore di lezioni di tiki taka, bilanciata da vicende ignote anche a chi vive di calcio 24 ore al giorno, come quelle del Z’Antiye FC, club della Antille francesi.

Il football è fatto anche di storie dal retrogusto amaro, dal finale triste. Di un portiere come Moacir Barbosa, che fece piangere il Brasile perché non evitò la sconfitta nell’episodio finale dei mondiali del 1950, quelli della tragedia del Maracanazo e del trionfo inaspettato dell’Uruguay di Schiaffino e Ghiggia. Di un campione come Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma del secondo scudetto nei mitici anni Ottanta del calcio nostrano, che una volta appesi gli scarpini al chiodo non riuscì a sconfiggere il mal di vivere. Undici metri, l’unico film italiano del festival, è un documentario sulla vita di Ago, personaggio di un calcio di cui oggi si fa fatica a trovare le tracce e che ci piace ricordare con le parole del compianto Gianni Mura: «I veri capitani possono morire o anche scegliere di morire, ma dimenticarli è impossibile».