L’attesa si prolunga per ore ma la prevista fumata bianca non arriva. In mattinata Silvio Berlusconi aveva annunciato una decisione sull’eventuale candidatura di Stefano Parisi alla presidenza della regione Lazio per le prossime ore, adoperando toni severi per lui inusuali: «Parisi può aspettare qualche ora». Segno che il barometro nei rapporti tra il leader di Arcore e l’ex candidato sconfitto di misura a Milano da Beppe Sala segnala se non tempesta almeno pioggia.

In effetti a bloccare la candidatura di Parisi, che martedì sembrava certa, sarebbero state proprio le pretese dell’ex manager, che chiedeva cinque seggi sicuri per la sua formazione, Energie per l’Italia. Il punto dolente è che quei seggi avrebbero dovuto andare tutti a carico di Forza Italia, come già la maggior parte di quelli regalati ai centristi di Fitto e Cesa, che ieri pomeriggio ha incontrato Berlusconi impegnato a selezionare nomi per i collegi uninominali azzurri con i capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani e con Letta, Ghedini e Giacomoni. Di questo passo, però, il salasso per il partito azzurro rischia di diventare esorbitante.

Tuttavia nella notte tra martedì e mercoledì era stato proprio il pur esasperato Silvio a insistere perché l’ipotesi Parisi non venisse abbandonata. Questione di bilancia ed equilibri. Mettere in campo Maurizio Gasparri, che si configura come la principale alternativa credibile a Stefano Parisi, significherebbe infatti dover cedere la candidatura nel Friuli, cosa che Berlusconi non ha alcuna intenzione di fare.

A complicare tutto ci si è poi messa la Lega. Il braccio di ferro tra i due principali alleati del centrodestra in corso al tavolo delle candidature di Roma ha costretto a far slittare in fondo all’agenda la già sofferta decisione sul Lazio. Matteo Salvini, superato dall’alleato nei sondaggi, consapevole delle manovre neppure tanto nascoste di avvicinamento tra Arcore e il Nazareno sotto l’ombrello di quella Ue che ha tributato al leader azzurro grandi onori e una piena riabilitazione ma non certo in cambio di niente, è passato all’offensiva. Non solo rintuzza puntualmente le aperture europeiste, e ormai quasi da pasdaran europeista, dell’alleato, non solo schiera candidature come quella dell’economista Bagnai, che guardano evidentemente al di là della tradizionale platea elettorale leghista, ma insiste anche per sfondare nel Lazio, testa di ponte verso il Sud.

Il problema non è tanto il numero di collegi uninominali da assegnare al Carroccio, sul quale l’accordo tiene. E’ invece la loro collocazione. I leghisti avevano reclamato un’ampia parte dei collegi lombardi e veneti, cioè nelle loro roccaforti. Ora però sembra che intendano dilagare anche nel Lazio, e la situazione, tanto più a fronte delle tensioni latenti tra i partiti alleati (più per finta che per davvero), si è fatta nella giornata di ieri difficile.
Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, intanto non molla la presa. Ieri ha rivelato di aver ricevuto da Antonio Tajani 10 giorni fa l’offerta di un seggio e persino di un posto al governo in cambio del ritiro. Offerta respinta al mittente.