Una delle esperienze più radicali del teatro internazionale del ventesimo secolo è rappresentato dall’Odin Teatret di Eugenio Barba. La compagnia teatrale di Holstebro, precettando ed aggiornando il dettato pratico – teorico del guru del “teatro povero”, Jerzy Grotwski, soprattutto e grazie alla guida di Barba che del regista del “Principe Costante” fu giovane sodale e primo divulgatore con i suoi scritti, è riuscita a restare in sella anche in questo secolo proprio per l’essere non solo un’appendice sperimentale delle teorie del maestro polacco. Anzi, l’Odin Teatret non è solo Barba, ma è stato ed è anche i tanti attori che sono passati e che restano: da Cesar Brie a Iben Nagel Rasmussen, da Torgeir Wethal a Julia Varley, da Tage Larsen a Roberta Carrieri. Dunque, sono più di cinquant’anni che Barba porta in giro la sua idea di teatro. Un teatro, più volte indicato e sottolineato nella terzietà del suo dispiegarsi temporale come di frattura, rifiuto e ricerca “di un senso personale” identitario ed ereditario. Queste sono alcune delle parole che Barba ha consegnato ai suoi “ordini del giorno”. Ma com’è nato l’Odin all’indomani del suo apprendistato con Jerzy Grotowski e il suo “teatro povero”? Barba, pugliese di nascita, apolide per vocazione, ha descritto nei suoi libri autobiografici la propria fascinazione per il teatro, per certi versi iniziatica per un ragazzo come lui sfuggito dagli obblighi di una famiglia alto-borghese e impiegatosi in mille mestieri, malpagati ma capaci di far acquisire un bagaglio di vita e d’esperienze che gli torneranno utili negli anni. Quei lontani fogli raccontano i suoi inizi lontano dall’Italia, diviso tra Polonia e Norvegia, nella cui capitale a metà degli anni sessanta per l’appunto fonderà l’Odin con alcuni attori rifiutati dall’Accademia. Prima di trasferirne come detto la sede a Holstebro, in Danimarca. Fautore di una disciplina quasi monacale nel formare l’attore, il regista è riuscito a trasferire la sua idea di teatro, fortemente etica e umana, ad un manipolo di meravigliosi attori e a una serie di allievi sparsi in ogni angolo del globo. Ma, c’è stato un momento all’inizio degli anni settanta in cui l’Odin e Barba, dopo aver allestito alcuni capolavori, tra cui “Min Far Hurs” (La casa del padre), celebrato in Italia alla Biennale del 1972, raccoglie l’invito di alcuni critici di tornare in Puglia. Quanto mai ritorno fu più profetico, già a partire dal titolo dello spettacolo. Accogliendo l’invito Barba, forse nemmeno tanto a sua insaputa, prese coscienza che un tempo stava cambiando e il breve contatto con le terre di Puglia, in particolare la discesa fu in Salento (e ciò è carico di significato se un mese circa di prima di essere assassinato, Pasolini pronunciò il testamentario “Volgar’eloquio” proprio in quei luoghi) lo avrebbe portare ad elaborare con “il baratto” un modo di far teatro che avrebbe segnato un nuovo inizio sia per l’Odin sia per se stesso: inventando (e non scoprendo come fece molti anni prima Ernesto De Martino con le sue celebri spedizioni un mondo ai più sconosciuto) uno scambio esperienziale ed umano di conoscenze che mescolava training e pizzica, clownerie e canto popolare, che divise ancor più i vecchi e i giovani di quei luoghi. D’altronde Barba era estraneo e avvertiva lontano da sé tutto il movimento del cosiddetto folk revival. Dunque, nel giro di un paio d’anni, dal primo contatto del ’73 fino al 1975, Barba con moglie figli e alcuni attori dell’Odin girerà a più riprese sia la Puglia sia la Sardegna, restando nella regione natìa ed in particolare a Carpignano dal maggio all’ottobre del 1974, mentre nell’isola si fermeranno nel gennaio dello stesso anno. L’anno successivo L’Odin percorrerà ancora l’Italia da Nord a Sud, ormai segnato dal “baratto”. Ora a raccontare quella lontana e favolosa avventura è Vincenzo Santoro,che in “Odino nelle terre del rimorso. Eugenio Barba e l’Odin Teatret in Salento e Sardegna (1973 – 1975) (Squilibri Editore 2017 pp. 142 euro 18); in una ricostruzione che unisce cronaca, testimonianze scritte e orali, le fotografie di Tony d’Urso e un dvd che contiene il leggendario programma televisivo di Ludovica Ripa di Meana “In cerca di teatro” e “Dressed in White – Vestita di bianco” di Torgeir Wethal, l’autore introduce il lettore in una trama fittissima di relazioni che letteralmente investirà non solo Barba e l’Odin, ma il sapere di un’intera generazione che non tarderà a comprendere il valore profetico di quella residenza temporanea, ma quanto carica di futuro.