«Fa freddo, eh? – dice Inga mentre si affretta a risalire dal rifugio – È davvero insolito che in questo periodo dell’anno a Odessa faccia così freddo ma una cosa ci consola tutti: che anche quei maledetti marinai russi si stanno congelando nelle loro navi da guerra e non possono fare niente, non riescono a sparare perché c’è troppa foschia, non possono sbarcare perché il mare è agitato…spero che peggiori sempre di più finché non muoiono di freddo».

Inga è la coordinatrice dell’Humanitarian Volunteer Centre che oggi occupa interamente i locali dell’Odessa Food Market. Fino a due settimane fa questo luogo più che un mercato era una galleria con banchi da tutte le tradizioni culinarie in voga e molti neon colorati.

OGGI I NEON SONO SPENTI e sulle ringhiere laterali del ballatoio al primo piano ci sono bandiere dell’Ucraina che culminano al centro della corte nello striscione «Nave russa vaffanculo». Ci sono più di cento volontari in questo centro che per la grande bandiera all’esterno avevamo scambiato per la Croce Rossa.

«Ci serviva un simbolo per essere riconoscibili e abbiamo scelto la croce di San Giorgio», spiega Inga un po’ imbarazzata per la poca originalità. L’ingresso è protetto da due trincee di sacchi di sabbia da entrambi i lati e poco più a sinistra ci sono decine di casse d’acqua coperte dalla neve fresca.

Mentre controllano i nostri documenti, dei ragazzi scaricano scatoloni da un furgone e attendono che un uomo armato li passi al metal detector. Vuol dire che alla paura dei sabotatori e degli infiltrati si è unita anche quella degli attentati. Se l’apparecchio tace i ragazzi portano i pacchi al primo piano e a ogni viaggio ritornano più rossi in volto per il freddo e la fatica. All’interno è un alveare, i gilet catarifrangenti gialli e arancioni dei volontari si muovono senza posa tra un punto e l’altro dell’ex mercato radical chic.

C’è chi estrae il contenuto dai pacchi, chi sistema la merce su tavoli e scaffali, chi redige l’inventario e sistema dei pezzi di cartone con le etichette scritte con il pennarello. E poi c’è chi, all’inverso, riempie i pacchi da spedire e li riporta all’ingresso dove arrivano continuamente nuovi furgoni.

«La maggior parte di queste cose la distribuiamo ai battaglioni di difesa territoriale – continua Inga – Soprattutto le medicine e il cibo; siccome l’esercito distribuisce prima ai militari e alla guardia nazionale, i volontari dei battaglioni territoriali sono quelli che hanno meno; poi abbiamo una raccolta speciale per i neonati, pannolini, omogenizzati, latte in polvere». «Distribuite anche armi?», chiediamo. «No, non abbiamo i permessi per acquistarle e neanche i soldi. Però stiamo cercando di far entrare dalla Polonia e dalla Moldavia giubbotti antiproiettile ed elmetti».

«Ma come mai ci sono tutti questi ragazzi qui? Loro non si arruolano?», domandiamo. «Purtroppo non ci sono armi per tutti, senza armi cosa li mandiamo a fare? E poi ce ne sono già così tanti, tutta gente che fino a due settimane fa faceva una vita normale da civile e invece ora ci sta difendendo da questi assassini».

LE BRILLANO GLI OCCHI e le chiediamo se ha qualcuno al fronte: «Mio padre, mio fratello, la maggior parte dei miei amici sono o nell’esercito o nei gruppi di volontari», racconta in modo sbrigativo. «Ognuno vuole fare la sua parte» conclude rianimandosi, talmente in fretta da sembrare costretta da un senso del dovere recondito, come se mostrarsi fragile in un momento come questo sia un’onta.

Poco distante Victoria, una signora di mezza età, ci mostra la «M foundation», un’organizzazione caritatevole che opera principalmente mediante donazioni internazionali. Gli spazi sono molto più angusti di quelli del food market e dobbiamo spostarci e scusarci in continuazione per non intralciare chi fa la spola tra l’ingresso e il magazzino con gli scatoloni in mano. «Questo è uno dei centri di raccolta che abbiamo in città, forse il più grande – spiega Victoria – Qui ci occupiamo dei medicinali».

Li distribuiscono alla popolazione, ai malati cronici e persino a farmacie e ospedali. «Diventa sempre più difficile trovare i presìdi di cui si ha bisogno e per questo stiamo provando a farne scorta, siamo in contatto costante con i medici degli ospedali qui intorno per cercare di capire di cosa c’è più bisogno». Cerca di presentarci alla coordinatrice del centro ma la signora, seduta a una scrivania con tre telefoni che squillano contemporaneamente si limita a darci la mano e a ringraziarci in modo asciutto prima di reimmergersi nel lavoro.

TUTTA QUEST’ATTIVITÀ incessante che abbiamo provato a raccontare contrasta come un ossimoro con le strade di Odessa. Strade vuote, controllate da militari sempre più coperti per il freddo pungente e sbarrate da cavalli di frisia e filo spinato. Ogni mattina si possono vedere nuove barricate di sacchi di sabbia e blocchi di cemento laddove la notte prima c’era un cancello o una semplice rotonda.

Passando per il centro si notano alcuni cancelli aperti e dopo il fumo delle sigarette appaiono soldati a guardia di mezzi blindati. Tutti fanno cenno di avvicinarsi o di fermarsi per controllare i documenti. Dopo, inizia la consueta reprimenda sul divieto di scattare foto e di girare video.

QUALCUNO CHIEDE di controllare il cellulare o le ultime immagini nella memoria della macchina. Non sono particolarmente aggressivi, soprattutto considerato il momento e considerato il fatto che sarebbero proprio loro i primi bersagli dei bombardamenti dal mare. Tra i civili in molti hanno paura di quest’eventualità perché, come ci spiega Vladyslav, un informatico ucraino, «non sarebbero missili teleguidati, colpirebbero vaste zone, anche a caso, immagina i danni che un attacco del genere provocherebbe». Per lo stesso motivo, tuttavia, in molti credono che ciò non accadrà.

Contemporaneamente si guarda un po’ più a est, a Mykolaiv, ormai percepita come roccaforte fondamentale anche per Odessa. A meno di due ore di macchina, Mykolaiv copre il fianco orientale delle truppe ucraine di stanza nel sud e un eventuale sfondamento russo provocherebbe un inevitabile accerchiamento. Anche perché il contrattacco ucraino da nord sembra diventare improbabile se davvero le forze russe continueranno ad avvicinarsi a Leopoli.

Nella notte, vicino all’aeroporto di Ivano-Frankivsk e a quello di Lutsk, sono state segnalate diverse esplosioni. Le due città, quasi equidistanti da Leopoli sulla dorsale longitudinale, sono considerate importanti avamposti per la difesa del capoluogo regionale e una loro caduta aprirebbe la strada verso la «capitale dell’ovest».

Intanto, preoccupa sempre di più il possibile coinvolgimento dell’esercito bielorusso. Secondo fonti ucraine, Lukashenko avrebbe già deciso di intervenire e si attende per stanotte il primo attacco.