Già era stata una sorpresa sapere che c’erano ancora treni in funzione verso Odessa, ma constatare di non essere uno dei pochio a partire verso quello che potrebbe diventare da un momento all’altro il nuovo fronte lo è stato ancora di più. La banchina nella notte nevosa di Leopoli era piena di gente con valigie, borse e bustoni di plastica che già due ore prima dell’orario di partenza ha iniziato a pressare alle porte.

IN UCRAINA PER SALIRE su un treno devi obbligatoriamente esibire il biglietto a uno dei controllori posizionati di fronte a ogni vagone e non ti permettono di salire se non è la carrozza giusta. Sarà per questo che ogni controllore è stato letteralmente preso d’assalto da gruppi di donne di tutte le età che in molti casi urlavano agitando in aria i biglietti. Neanche per me è stato facile, al vagone numero 3, che era il mio, non mi hanno permesso di salire e neanche a quelli a fianco; per qualche motivo non andava bene il biglietto elettronico. Ho provato con tutti e 16 i vagoni e alla fine una vecchia signora con la gonna blu d’ordinanza (nonostante il freddo polare) e le scarpe con il tacco basso stile sovietico mi ha intimato qualcosa che però si è concluso con un ampio gesto spazientito che mi invitava a salire in fretta. Appena in tempo, dato che il treno è partito con un’ora di anticipo; pensare che io volevo solo ripararmi dal freddo e avevo rinunciato alla sala d’attesa perché era piena di famiglie accampate e volontari.

IL VIAGGIO SI È SVOLTO quasi tutto in penombra, soltanto le luci di emergenza erano accese, per evitare che il convoglio potesse diventare un bersaglio per l’aviazione. Ormai in Ucraina tutti sono convinti che i russi colpiscano i civili di proposito, per terrorizzarli e costringere il governo alla resa. Del resto, le immagini dell’ospedale pediatrico di Mariupol distrutto da un bombardamento erano state diffuse solo qualche ora prima e lo shock in tutto il Paese è stato grande. Senza contare le vittime di Chernihiv, i palazzi di Kharkiv, le tre donne di Irpin e la famiglia di Bucha.

ALL’ARRIVO A ODESSA, la situazione non sembrava troppo diversa da come l’abbiamo lasciata due settimane fa. Ma, quando il tassista si è fermato di fronte a una fila di cavalli di frisia uniti dal filo spinato, la nuova realtà si è imposta con la forza di un pugno allo stomaco. Le famose strade del centro piene di locali e di vita oggi sono un deserto popolato solo da militari con il passamontagna o lo scaldacollo alzato per il gran freddo (nel frattempo aveva ricominciato a nevicare).

NON C’È UNA MACCHINA e alla maggior parte degli incroci non si passa. Blocchi di cemento, sacchi di sabbia, tavole e mobili rivoltati, postazioni di tiro mimetizzate sotto reti uguali a quelle confezionate dai volontari nella biblioteca di Leopoli e mezzi blindati. Fino alla statua di Caterina II, da un lato, e al parco comunale, dall’altro, sono solo linee di sbarramento. Sul pavé ci sono persino i chiodi a quattro punte per forare i pneumatici, uniti anch’essi dal filo spinato o da tiranti d’acciaio. I militari non lasciano proseguire sul corso ma bisogna fare il giro per raggiungere la piazza Katerynyns’ka e quasi da subito ho preso l’abitudine di camminare con il passaporto e la tessera da giornalista in mano.

SUGLI ALBERI SONO ATTACCATI fogli bianchi con il simbolo del divieto di fotografare e un breve riassunto delle possibili conseguenze per i trasgressori, prima su tutte l’arresto. Portoni, scale di accesso ai bassi, tettoie, baracche costruite ad hoc, dovunque c’è almeno una coppia di militari che si chieda cosa ci faccia un civile qui.

ALLE 14.45 È SUONATO il primo allarme della giornata al quale si è unito il campanile della cattedrale Soaso-Preobrazhensky. Per oltre un quarto d’ora i due suoni si sono rincorsi sotto il cielo basso di questo ulteriore pomeriggio d’attesa. Per fortuna, almeno nel centro città, non si sono sentiti boati. Un po’ fuori, oltre il quadrilatero blindato che parte dalla scalinata della Corazzata Potemkin e arriva fino a piazza Viry Kholodnoi, qualche civile senza armi si incontra ancora.

NATALI E GRIGORY, due ragazzi sui vent’anni che sono appena stati a fare scorta di provviste, raccontano che molti rifugi non sono più utilizzabili. «E quindi quando suona la sirena dove andate?». «Resto a casa e prego» risponde Natali congiungendo i palmi delle mani e guardando verso l’alto mentre Grigory sorride timidamente. Ma anche loro due, come moltissimi dentro e fuori Odessa, sono convinti che i russi non bombarderanno mai la città. «Sarebbe troppo, anche per loro» spiega Dmitry, il cuoco dell’unico chiosco nel raggio di diversi isolati ancora aperto, «Odessa è un simbolo per i russi, è importante per la cultura russa, non la possono distruggere». O forse sì? Chiede poi, imbarazzato, il ragazzo. Ma no, certo, sarebbe come se noi bombardassimo una nostra città, un emblema della nostra storia.

FORSE DMITRY HA RAGIONE, infatti le manovre che da giorni si compiono sul fronte di Mykolaiv potrebbero proprio essere un tentativo di sfondare le difese ucraine e puntare a ovest, verso la Moldavia. A quel punto la «perla del Mar Nero» sarebbe tagliata dalle retrovie e i russi potrebbero iniziare i combattimenti a terra attaccando da nord e dal mare. Del resto, sembra che gli incursori presenti sulle navi da sbarco non siano affatto sufficienti a compiere un’azione di conquista e tenuta delle spiagge o del porto e che un eventuale sbarco in questo momento si risolverebbe con un massacro sul bagnasciuga. Ma, ça va sans dire, questa è la teoria.

MENTRE SI CERCA DI CAPIRE quale sorte abbia immaginato lo stato maggiore russo per Odessa, sappiamo per certo che l’attacco di ieri all’ospedale di Mariupol ha portato alla morte di 3 persone, tra cui un bambino, e al ferimento di 17. In serata, il vice-presidente americano Kamala Harris ha risposto alla chiamata del governo Zelensky e ha annunciato il proprio parere positivo all’istruzione di un processo per crimini di guerra contro le alte sfere russe che stanno portando avanti l’invasione dell’Ucraina e stanno compiendo “atrocità” contro i civili, come i bombardamenti degli ospedali.

NON È LA PRIMA VOLTA che in una guerra vengono colpiti obiettivi civili, ma è una delle prime volte che il mondo Occidentale si indigna così all’unisono. Difendere la popolazione inerme dalle bombe e dalle violenze è un obbligo che tutti dovrebbero assumere incondizionatamente e speriamo che in Ucraina questo scempio cessi il prima possibile. Tuttavia, molti di quelli che oggi si dimostrano contriti di fronte alle immagini di Mariupol, dovrebbero almeno chiedersi perché in passato hanno permesso che accadesse lo stesso ad Aleppo, a Kobane o a Gaza.