Due migranti che si gettano in mare e vengono tratti in salvo dall’equipaggio. Altri cinque che minacciano il suicidio. Sale la tensione a bordo dell’Ocean Viking, la nave della ong europea Sos Mediterranée che da cinque giorni attende di sapere dove e quando potrà sbarcare i 180 naufraghi recuperati in quattro diverse operazioni di soccorso effettuate tra Malta e l’Italia. «Abbiamo inviato cinque richieste alle autorità marittime italiane e maltesi per l’assegnazione di un porto ma finora non abbiamo ricevuto risposte tranne due, negative. E ora siamo lasciati in un limbo senza nessuna indicazione su dove andare», denuncia l’ong.

Su molti dei migranti che si trovano sulla nave, tra i quali anche una donna incinta, sono ancora visibili i segni delle torture subite in Libia. «I sopravvissuti ci hanno raccontato come, in un centro di detenzione, le guardie hanno picchiato uno di loro su una gamba con un bastone di acciaio fino a rompergli un piede», spiegano i volontari. «Ma c’è anche chi ha tentato più volte di fuggire ed è stato intercettato dalla Guardia costiera libica in mare e riportato indietro in un circolo vizioso senza fine».

A rendere tutto più difficile c’è poi il silenzio dell’Europa che nonostante gli impegni del passato continua a guardare a quanto accade nel Mediterraneo senza intervenire. Una situazione che Frédéric Penard, direttore operativo di Sos Mediterranée, definisce «inaccettabile»: «Dov’è finito l’accordo di Malta del 2019 per il trasferimento delle persone salvate in mare?», chiede. «Gli Stati europei sono consapevoli che la gente ha continuato a fuggire dalla Libia per tutta la durata della crisi Covid-19 e indipendentemente dall’assenza di navi dedicate alla ricerca e al salvataggio?».

Fughe che da sole sarebbero più che sufficienti per far capire il livello di disperazione di chi si trova sull’altra sponda del Mediterraneo e deve subire le violenze delle milizie libiche. Fughe che accennano a diminuire. Ieri l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ha reso noto che quasi 200 persone sono state intercettate dalla cosiddetta Guardia costiera di Tripoli, che le ha riportate nel paese nordafricano. Tra di loro anche 16 donne e 19 bambini: «Ribadiamo che il sistema di detenzione arbitraria in Libia deve essere smantellato», ha dichiarato una portavoce ricordando come dall’inizio dell’anno siano stati ben 5.000 gli uomini, le donne e i bambini riportate in Libia. E molte di queste persone, ha sottolineato la portavoce, «risultano scomparse dopo essere state riportate nei centri di detenzione».

L’emergenza Covid rischia infine di aggravare ulteriormente la situazione. Ieri il Centro nazionale libico per il controllo delle malattie ha reso noto di aver individuato altri 50 nuovi contagi tra la popolazione, il che fa salire a 874 il totale dei casi nel Paese. Inevitabile che qualche contagio si abbia anche tra i migranti. Otto positivi sono stati registrati anche tra i 43 tamponi effettuati ai migranti sbarcati giorni fa dalla nave Mare Jonio: «La pandemia non fa purtroppo distinzioni e non conosce i confini e si è evidentemente propagata anche nel continente africano e in Libia» ha commentato la ong Mediterranea saving humans. «Questo impone un intervento umanitario di soccorso che preveda l’evacuazione dei campi di prigionia libici, dove le condizioni igienico sanitarie disastrose rischiano di trasformare quei luoghi in un focolaio senza precedenti».