Sono arrivati ieri poco dopo le sei di mattina: sette blindati, armati di un ariete, hanno sfondato il portone di una scuola elementare di Napoli dismessa da tre anni. I criminali da stanare erano una quarantina di persone: sei nuclei familiari, ragazzi e ragazze, precari e senza reddito, che da marzo avevano trovato un tetto nelle aule della Belvedere, al Vomero. Buttati fuori perché i proprietari dello stabile, le suore dell’Ordine del Buon Pastore, hanno inviato una denuncia alla procura, che ha subito organizzato il blitz con tanto di sequestro giudiziario.

«Ci hanno sbattuto contro il muro, per strada. Qualcuno si è beccato pure un paio di schiaffi. Non abbiamo potuto portare niente con noi, tranne poche cose. Tutto il resto è chiuso lì», raccontano gli ex occupanti, radunati in mattinata a piazza Municipio, davanti la sede del comune, dove gli uffici sono semideserti. Non solo non hanno più un posto dove dormire, ma sono stati tutti identificati in questura, cinque denunciati per occupazione e allaccio abusivo alla rete elettrica, furto e scasso. L’assessore al Patrimonio, Sandro Fucito, attualmente in ferie, ha commentato: «Avremmo voluto trovare una soluzione dialogando con tutti i soggetti coinvolti. Per questo ci coglie di sorpresa la decisione dello sgombero in pieno agosto».

L’edificio di via Belvedere è bellissimo e malandato. Una villa nobiliare lungo quello che fino agli anni ’40 era il corso principale, proprio sulla collina che sovrasta il lungomare. E’ finito alla chiesta negli anni ’30 grazie al lascito della duchessa Maria Sofia Capece Galeota, donato con il vincolo che fosse usato per l’assistenza all’infanzia.

L’ordine lo trasformò così in una scuola elementare: i ragazzi potevano fare educazione fisica nel campo da gioco circondato dal verde con vista sul golfo, le suore incassare i fitti dal comune. Poi nel 2010 dissidi sulla ristrutturazione delle aule e ritardo nell’incasso dei canoni (oltre 20mila euro al mese) portarono allo sfratto di 300 alunni, con buona pace di donna Maria Sofia. Voci di quartiere, all’epoca, dicevano che le monache preferivano convertire la struttura in un bed & breakfast. Nel 2011 arrivò una prima occupazione della rete Reclaim, conclusasi quasi subito con lo sgombero. A marzo la nuova ondata di occupanti.

Tra di loro ci sono Anna Di Gennaro e suo marito, vivevano a Secondigliano ma non riuscivano più a pagare l’affitto. Anna è tra i 4mila operatori del progetto Bros che la politica ha prima usato come bacino elettorale e poi lasciato per strada. Nella città dell’emergenza rifiuti non c’è posto per lavoratori che regione e ministero hanno formato per la raccolta differenziata e le bonifiche. «Le suore – racconta – ci hanno chiamato fino all’altro giorno, sembravano ben disposte. Abbiamo messo a posto i bagni, le porte, i vetri, tutto quello che ci chiedevano di riparare veniva sistemato. I rapporti con il quartiere sono sempre stati buoni».

La piccola comunità di via Belvedere è composta anche da una decina di bambini, il più piccolo ha appena un anno. Una famiglia con tre figli ieri non era nell’ex scuola: «Non siamo riusciti ad avvisarli, le loro cose sono rimaste lì», raccontano. Carmela ha due figli, una di otto e uno di sei, staranno dai nonni fino a quando i genitori non riusciranno a trovare una nuova sistemazione. In cerca di tetto anche Sabrina, 29 anni, affetta da una malattia rara, la mastocitosi, potrebbe andare in choc anafilattico in qualsiasi momento. Il padre ha abbandonato la famiglia, la madre è disoccupata, lei ha una pensione di 250 euro al mese con cui riesce giusto a pagarsi l’adrenalina, il suo salvavita: «Ho tre ernie del disco, sono in attesa di operazione – spiega – così non ho potuto prendere nulla con me». Ex lavoratori Astir, disoccupati che vivevano in auto, tornano tutti sul marciapiede.

La comunità dell’ex Belvedere, con gli attivisti della campagna per il diritto all’abitare Magnammece o’ pesone (Mangiamoci l’affitto, ndr), ieri pomeriggio è andata a occupare per qualche ora l’ala del Duomo che ospita il Museo del tesoro di San Gennaro: «Vogliamo denunciare l’ipocrisia di una chiesa che attraverso il suo papa si mette al fianco dei poveri mentre a Napoli li sfratta senza troppi complimenti». Il segretario del cardinale Sepe non è andato oltre una vaga dichiarazione di solidarietà a famiglie buttate per strada dal maggior proprietario privato di immobili della città, su cui non paga neppure l’Ici.