In Pakistan occhio per occhio, stupro per stupro
Punjab Una ragazza violentata per vendicare la violenza del fratello su un’altra giovane. La pena decisa dagli anziani del villaggio. Ma lo Stato interviene: 20 arresti. E ora le vittime cominciano a denunciare
Punjab Una ragazza violentata per vendicare la violenza del fratello su un’altra giovane. La pena decisa dagli anziani del villaggio. Ma lo Stato interviene: 20 arresti. E ora le vittime cominciano a denunciare
Un caso di ordinaria barbarie ai danni di due donne, una delle quali minorenne, stuprate nella provincia pachistana del Punjab, è stato ieri preso in carico dal Chief Justice del Pakistan, la più alta carica del sistema giudiziario del Paese dei puri.
Accanto a una delle ricorrenti pessime notizie che accompagnano la violenza contro le donne ce n’è dunque almeno una positiva.
UN CASO CHE RISCHIAVA di restare confinato in ambito locale è stato assunto motu proprio da Mian Saqib Nisar, costituzionalista non certo noto per essere un progressista ma che ha deciso di andare a fondo in questa terribile storia avvenuta nel cuore del Punjab e che ha appreso dai giornali.
Comincia a metà luglio in un campo di fieno della zona di Muzzafarabad, un sobborgo della città di Multan. Una ragazzina di 12-13 anni, che i giornali locali chiamano F, viene violentata da un uomo. Due giorni dopo si riunisce il panchayat, il consiglio degli anziani della zona, che individua il colpevole e stabilisce la pena.
OCCHIO PER OCCHIO: il fratello di F si deve vendicare con uno stupro equivalente su N, sorella diciassettenne del colpevole. Pena eseguita e, stando alla stampa locale, addirittura in presenza del primo violentatore e dei suoi parenti.
Non è purtroppo una novità e i consigli degli anziani sono spesso accusati di applicare le leggi consuetudinarie in barba alle più elementari norme che regolano il pur modesto apparato difensivo pachistano nei confronti delle donne.
Ma questa volta qualcuno non ci sta e viene sporta denuncia dai membri delle due famiglie agli agenti i cui uffici si trovano a Multan, nel Centro contro la violenza sulle donne.
SI MUOVE LA POLIZIA e scattano le manette: per ora sarebbero già in carcere 20 persone mentre proseguono le ricerche sugli altri componenti del panchayat (una quarantina) e il caso arriva agli uffici giudiziari di Islamabad. I due violentatori sarebbero ancora uccel di bosco.
Il panchayat (assemblea) è un sistema antico diffuso nel subcontinente indiano che resiste da secoli. È una delle tante forme di amministrazione del consenso e della giustizia che spesso sfuggono non solo al dettato legislativo nazionale ma persino agli ordini del clero. Ne esistono forme diverse a seconda della tradizione.
NEL NORDOVEST pachistano, abitato da popolazioni afghane, la jirga assume lo stesso ruolo. Qualche mese fa un’assemblea condannò a morte un ragazzo ripreso da un telefonino mentre ballava con delle giovanette.
Le ragazze sparirono e non è ancora chiaro se, dopo che il caso aveva interessato la magistratura, quelle che erano riapparse fossero le vittime. Si teme siano state uccise.
Ma queste punizioni del codice d’onore non fanno parte solo delle popolazioni afghane della montagna, confinate nelle cosiddette aree tribali e strenue avvocate della tradizione: il Punjab è il cuore del Pakistan moderno e Multan una città di due milioni di abitanti.
UN CASO FAMOSO (e denunciato) fu quello di Asma Firdous, una donna di 28 anni a cui, nell’aprile del 2011, due uomini tagliarono sei dita, il naso e sfregiarono labbra e braccia. Alla base una disputa col marito, la vendetta si scaricò sulla ragazza.
Il rapporto sulla violenza femminile relativo al 2010 della Commissione diritti umani del Pakistan, diceva che almeno 800 donne erano state vittime di «delitto d’onore» e punite con la morte e altre 2.900 erano state violentate, al ritmo di otto al giorno. Il Punjab deteneva il primato.
Ancor più noto il caso di Mukhtar Mai, giovane punjabi di Muzaffargarh violentata nel 2002 da 4 uomini per il sospetto di una presunta relazione tra il fratello minore di lei, Shakoor, e una parente.
Grazie alla determinazione della ragazza, che non si suicidò per il disonore ma denunciò gli stupratori, si scoprì che l’accusa a Shakoor doveva coprire la violenza subita dal ragazzo stesso da parte di membri del clan.
NE VENNE FUORI UN LIBRO (In nome dell’onore), una scuola per ragazze finanziata da Mukhtar Mai e Thumbprint, un’opera teatrale di respiro internazionale.
Un altro caso recente è quello di Fouzia Azeem, più nota come Qandeel Baloch, una giovane di 26 anni diventata un idolo in Pakistan per le sue performance video, le interviste scioccanti, il modo di esporre il corpo e le continue provocazioni. Suo fratello Waseem, reo confesso, l’ha prima drogata e poi strangolata nel sonno nella casa dei genitori l’anno scorso sempre a Multan.
Lentamente anche in Pakistan le cose cambiano: in termini di dati (mille morti nel 2016) la situazione sembra stabile o peggiore ma ora le donne – anziché uccidersi come vorrebbe la consuetudine – denunciano e la magistratura interviene; si lavora su leggi che evitino la scappatoia del delitto d’onore che, ufficialmente, dovrebbe essere considerato un omicidio tout court.
Strada in salita e non solo in Asia: in Italia l’abolizione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore è solo del 1981 e le donne uccise, spesso da mariti, conviventi o ex, sono una ogni tre giorni. Quasi 7 milioni, per l’Istat, le italiane che hanno subito abusi.
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