Occhiali biodegradabili alla canapa per combattere lo spopolamento delle montagne bellunesi. È questa l’idea di The Eyes Republic, la repubblica degli occhi, un collettivo di Longarone, nel bellunese. Gli imprenditori che fanno parte dell’associazione puntano alla nascita di una filiera dedicata alla bioplastica prodotta a partire dalla canapa.

LA START UP E’ NATA UN ANNO FA e conta una decina di piccoli produttori e designer del settore degli occhiali e degli accessori di moda che hanno deciso di puntare su nuovi materiali, in particolare su bioplastiche provenienti da fonti organiche e rinnovabili. «Molti di noi sono sostenitori di Greenpeace» racconta Stefano Vanin uno dei fondatori dell’associazione The Eyes Republic. «Volevamo sviluppare un’attività a chilometro zero» racconta riferendosi alla produzione della materia prima. «Abbiamo pensato alla cellulosa proveniente dalle betulle o dalla canapa». La scelta definitiva, però, è caduta proprio sulla canapa: «Rispetta tutti i requisiti che avevamo in mente: cresce in aree abbandonate ed esisteva già una tradizione di produzione nel bellunese e nel trevigiano».

IN VENETO LA CANAPA VIENE DEFINITA «il maiale vegetale» per la versatilità degli usi che si possono fare di tutte le parti della pianta. Il seme viene destinato alla produzione di farina e olio, alimentare e cosmetico; le fibre grezze dello stelo possono essere impiegate nel tessile e nella produzione di carta; il canapulo è utile nella bioedilizia come isolante e nella produzione di bioplastica. Con le foglie si realizzano tisane e con i fiori farmaci.
Fino agli anni ’40-’45 l’industria della canapa in Italia era molto sviluppata. «Eravamo il secondo produttore mondiale dopo l’Unione Sovietica» spiega Matteo Gracis, studioso di canapa, direttore del magazine Dolce Vita e autore del libro Canapa: una storia incredibile. Oggi le cose sono cambiate parecchio. Gli ettari coltivati a canapa variano di anno in anno, con un andamento altalenante. «Spesso chi coltiva terreni a canapa lo fa in locazione, puntando su terreni marginali, proprio per l’incertezza del mercato» spiega Stefano Vanin.

Dopo un boom nel 2016 c’è stata una forte riduzione e oggi si assesta intorno a qualche migliaio di ettari. Secondo i dati del 2018 di Coldiretti gli ettari coltivati a canapa in Italia sarebbero circa 4.000, secondo Istat per la produzione di canapa destinata al tessile, molti meno: circa 700. Alcune regioni hanno sviluppato la produzione: Piemonte, Puglia, Toscana e Sicilia. Ci sono iniziative anche nelle Marche, in Lombardia, nel Lazio e nel Veneto.

«L’UNICA FILIERA DELLA CANAPA industriale presente in Italia è quella alimentare» spiega Matteo Gracis sottolineando che anche i piccoli produttori sono in grado di lavorare la materia prima e farla diventare un prodotto commerciale. A confermarlo è anche Marco Dalla Rosa di Canapa Alpino, una società che produce, trasforma e vende prodotti a base di canapa. Nei loro negozi aperti a Bribano, Feltre e Belluno si trova la canapa declinata in tutti i suoi usi: dalla cosmesi alla bioedilizia. Canapa Alpino sta cercando proprio di completare l’intera filiera per quanto riguarda la produzione di olio e farina. «Un paio di anni fa abbiamo provato a valorizzare anche il fusto, che non viene utilizzato nel consumo alimentare» spiega Dalla Rosa. «Collaborando con un’azienda del bellunese che possiede un decorticatore abbiamo estratto fibra e canapulo, utile nella bioedilizia». Il mercato per questo sottoprodotto, però, non si è sviluppato nella provincia di Belluno e per le aziende diventa una grossa spesa.

«LE FILIERE NON ALIMENTARI SONO PIU’ in difficoltà in Italia perché mancano gli investimenti e i macchinari che servono per la raccolta e la trasformazione della canapa». Secondo Matteo Gracis, giornalista e scrittore, il settore ha un potenziale immenso ma è in difficoltà: dovrebbe essere il governo ad investire in impianti di trasformazione, come accade in molti paesi europei. In Italia, per Gracis, esiste poi un clima ostile verso la produzione di canapa.

The Eyes Republic vorrebbe proprio realizzare una filiera per valorizzare le parti della pianta scartate dall’uso alimentare. «Vorremmo generare un ciclo virtuoso con la rimessa a dimora della canapa nelle aree alpine abbandonate» afferma Stefano Vanin. L’obiettivo è produrre il quantitativo di canapa necessario all’estrazione della cellulosa utile per la produzione di bioplastica. «Abbiamo proposto di rimettere a coltura qualche migliaio di ettari».

La coltivazione in aree montane rimane una nicchia, ma, secondo Matteo Gracis c’è una grande curiosità da parte delle aziende agricole. «Il problema principale è il mercato di sbocco della materia prima», evidenzia. La canapa viene utilizzata nella rotazione dei terreni, per arricchire i suoli e depurarli dagli inquinanti, in particolare metalli pesanti. Necessita di poca acqua e si adatta facilmente al clima e ai terreni. Marco Dalla Rosa è anche produttore agricolo. «L’area del bellunese è proibitiva per via degli spazi ristretti, che rendono la coltivazione dispendiosa», racconta. «Qui i terreni sono piccoli, è difficile riuscire a coltivare un ettaro tutto insieme, non spezzettato – spiega – e spesso i terreni adatti sono occupati dal mais».

ALLE DIFFICOLTA’ LOGISTICHE si aggiungono quelle economiche: «Trebbiare la canapa ci costa circa 500 euro l’ettaro e il margine di guadagno sulla produzione di seme è molto variabile». Anche la variabilità del clima e gli imprevisti contribuiscono a rendere complessa la produzione: «Quest’anno uno degli ettari che avevamo piantato è stato mangiato dalle pecore».

Secondo Dalla Rosa l’unione delle realtà che operano nel settore aiuterebbe ad ammortizzare i costi dei macchinari e a creare delle micro-filiere locali.
L’associazione dei produttori The Eyes Republic vorrebbe rivoluzionare il comparto ottico, che oggi ha un elevato impatto ambientale, visto l’utilizzo della plastica e di sostanze tossiche durante la lavorazione. Gli imprenditori che fanno parte del collettivo non hanno cambiato solo i materiali, ma anche i processi produttivi. «Sono state bandite le colorazioni galvaniche che, a causa della dispersione di nickel, sono una delle cause dell’inquinamento dei fiumi», spiega Vanin. La trasformazione della cellulosa avviene senza l’utilizzo di componenti tossiche per l’uomo e per l’ambiente. L’associazione ha lanciato anche la campagna Dolomitic Plastic Free per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni contro l’imperversare delle materie plastiche, anche in vista delle olimpiadi invernali Milano-Cortina.

AD OGGI LA FILIERA DELLA BIOPLASTICA da canapa in Italia non esiste, infatti The Eyes Republic è stata costretta ad internazionalizzare la produzione. «Esiste un problema di scarsità della materia prima, per questo ci siamo rivolti a produttori in Lituania e Ucraina» sottolinea Stefano Vanin. Anche la trasformazione della materia prima in cellulosa viene realizzata da un’azienda tedesca. Bioplastica e occhiali veri e propri, invece, sono opera dei piccoli produttori del bellunese. Per il momento si rivolgono a piccole nicchie di mercato. I prodotti non si trovano on-line: «Ci rivolgiamo agli ottici. Chi manipola occhiali deve conoscerli ed essere specializzato, non vogliamo una produzione standardizzata».

The Eyes Republic sta cercando finanziamenti anche a livello europeo per creare una «bioraffineria alpina» in grado di processare la canapa e trasformarla in materiale plastico, recuperando anche gli scarti di produzione, secondo i principi dell’economia circolare. «Dovrebbe sorgere in una valle tra il bellunese e l’agordino dove esiste già un piccolo impianto abbandonato», aggiunge. Il progetto riguarda la produzione di 1000 tonnellate annue di monoacetato di cellulosa di canapa.

L’IDEA E’ PUNTARE SULLA FIBRA cellulosica prodotta dalla canapa utilizzata nelle rotazioni annuali dei terreni, nella fitorimediazione dei suoli degradati ma anche su quella proveniente da chi coltiva la pianta solo per i fiori o i semi. Lo scarto della produzione alimentare e ricreativa diventerebbe la materia per la bioraffineria. L’iniziativa si propone di combattere contro lo spopolamento delle aree montane, collegandosi al distretto dell’occhiale di cui il bellunese è diventato fulcro mondiale.