La sezione Classici del festival ha degnamente sostituito retrospettive a volte opinabili, dando modo invece di rivedere o scoprire dei film che non deludono mai e di evidenziare come i nuovi modi di vedere il cinema abbiano creato una domanda diversa, che stimola filologia e attività cinetecarie, e persino l’idea di un concorso ad hoc (per il restauro), presidente della giuria Costanza Quatriglio. Tra i titoli di quest’anno attesissimo il film di pre-apertura Estasi di Gustav Machaty, famoso per il nudo integrale di Hedy Lamarr e per l’erotismo trasgressivo, estetizzante e cupo come molti film muti prodotti in Cecoslovacchia all’epoca, ma che vinse comunque il premio alla regia nell’edizione 1934 del festival. Hedy Lamarr, ancora conosciuta col cognome austriaco, Kiesler, interpreta la giovane moglie di un anziano impotente, che a contatto con la natura sente i suoi sensi risvegliarsi impetuosamente e si lascia andare tra le braccia di un giovane amante, portando il marito al suicidio. Questo ruolo aprì le porte di Hollywood alla giovanissima Hedy, che però non ebbe mai ruoli così consistenti da permetterle di dimostrare a pieno le sue doti di attrice. Ma si fece spazio altrove: ingegnere e attivista antinazista Hedy brevettò un sistema di tracciatura dei siluri: un dettaglio «inaspettato» (per il typecasting hollywoodiano, con le sue rigide aspettative di genere) nella carriera di una attrice tuttora nota per lo più per la sua bellezza sensuale.

Tra i titoli da non perdere La Commare secca di Bertolucci e Strategia del ragno, in bianco e nero il primo, e a colori, a firma Storaro, il secondo, che anticipa altri film «storici» del nostro, come Il conformista o Novecento. Scritto da Pasolini La Commare secca si allontana dal realismo pasoliniano delle periferie, per proporre una Roma popolata da «criminali» improbabili, all’interno di un racconto corale dell’omicidio di una prostituta. Tratto da Borges e prodotto dalla RAI, Strategia propone atmosfere sospese tra un impressionismo alla Renoir e un surrealismo rarefatto, con citazioni di De Chirico, introducendo elementi teatral-operistici e temi psicanalitici che preannunciano il Bertolucci a venire.

Un titolo forse poco noto, ma davvero imperdibile, è l’ultimo film di Vittorio Cottafavi, Maria Zef, girato in Carnia, tra le splendide quanto poco viste al cinema, montagne di Forni di Sopra, e restaurato infatti dalla Cineteca del Friuli (Gemona), dalla RAI (che l’aveva prodotto come sceneggiato in due puntate) e dal Museo del cinema di Torino. Il film racconta la durezza della vita in una Carnia inizi Novecento, affrontando il tema scomodo dell’incesto, con una tensione drammatica che esplode nel finale. Girato on location sfrutta al massimo la bellezza cangiante del paesaggio, una Natura in contrasto con il naturalismo ruvido dei personaggi e della recitazione.

Tratta di incesto con toni non edulcorati anche Out of the Blue of Dennis Hopper, un ritratto impietoso di un’America sesso, droga e rock ‘n roll (musiche di Neil Young) che conferma la necessità di riguardare il cinema di Hopper come un capitolo innovativo e scomodo della New Hollywood.

Il centenario felliniano viene celebrato con Lo Sceicco bianco, un Alberto Sordi eroe di fotoromanzi, omaggio dolce-amaro alla cultura popolare italiana, con un occhio alle mitologie divistiche create dal cinema stesso.

Il grande Gaucho di Jacques Tourner (1952) è un western girato in Argentina, ispirato al poema epico Martin Fierro, che riprende il tema dell’eroe solitario caro al regista. Con un uso sofisticato del colore, soprattutto per valorizzare le location argentine, il film è appesantito talora dalla retorica dell’epopea nazionalista che il regime di Peron suggerì-impose alla produzione.

Tiro al piccione (1962) è il film di esordio di Giuliano Montaldo che ha come protagonsita un giovane (e fragile) Jacques Charrier che sceglie di aderire a Salò, con confuse morivazioni patriottiche – un film antifascista proprio perché schiva la retorica resistenziale ma dimostra perché quella era una scelta perdente in sé.

L’Iran è presente con ben due film, Tappe-Haye Marlik (The Hills of Marlik, 1964) un documentario sull’archeologia e la vita di Ebrahaim Golestan e Khaneh Siah Ast (The House Is Black 1962) di Forough Farrokhzad, ambientato in un lebbrosario, riflessione religiosa sulla bruttezza.

Accanto a questi film, poco noti al grande pubblico, un autentico filmone come New York, New York di Scorsese, un musical ambientato tra anni Quaranta e Cinquanta, con De Niro sassofonista e Liza Minnelli cantante, al top della loro seduttività impegnati in un melodramma strappalacrime tra carriera, successo e amore che fa impallidire, al confronto, A Star Is Born di Bradley Cooper.