Si sono dati come obiettivo la salvaguardia del territorio e la sostenibilità ambientale. Cementificazione zero, razionalizzazione degli spazi già edificati, recupero delle aree dismesse, progettazione partecipata, sono gli obiettivi qualificanti dell’Associazione Comuni Virtuosi. Aderiscono un centinaio di Comuni di piccole e medie dimensioni, sparsi su tutto il territorio nazionale. Un piccolo numero rispetto agli 8100 comuni italiani, ma questa rete di amministrazioni locali si pone il grande obiettivo di gestire il territorio secondo criteri di sostenibilità ambientale.

L’Associazione si è costituita nell’anno 2005, su iniziativa di quattro piccoli comuni: Colorno (Parma), Monsano (Ancona), Melpignano (Lecce), Vezzano Ligure (La Spezia). Poi le file si sono ingrossate, ma c’è ancora tanto posto disponibile, per portare avanti una gestione del territorio che eviti gli effetti devastanti e irreversibili che si sono prodotti in questi decenni. Perché, quando c’è un uso scriteriato del territorio, il suolo presenta il suo conto. Il suolo è un bene comune, una risorsa limitata e non rinnovabile. Un concetto, questo, ancora lontano dalla cultura politica italiana. Salvaguardare il territorio significa, innanzi tutto, fermare il consumo di suolo. La direttiva 2007/2 della Commissione Europea definisce il consumo di suolo: «È una variazione di copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale (suolo consumato)».

Il consumo si è prodotto su aree agricole, boschi, foreste, aree seminaturali, zone umide. Sono le zone agricole le più colpite. La superficie agricola italiana, dal secondo dopoguerra, è diminuita di 6 milioni di ettari. Secondo la Coldiretti, negli ultimi 25 anni la superficie db i terre coltivate si è ridotta del 28%. L’ultimo rapporto dell’Ispra del 2017 mette in evidenza come il consumo di suolo in Italia proceda a una velocità insostenibile. Siamo arrivati a 23.000 kmq di territorio cementificato, pari al 7,6 % del territorio italiano (un’area pari a quella di Liguria, Campania e Molise messi insieme). Negli anni ’50 questo dato era del 2,7%. In 60 anni la superficie cementificata si è triplicata. Le zone più interessate da questo processo sono: aree metropolitane, pianura lombardo-veneta, asse Pisa-Firenze, Lazio, Campania, Salento, costiera adriatica, Liguria, Campania, Calabria, Sicilia. Si evidenzia, inoltre, che più di 7 milioni di persone vivono in aree a rischio di frane e alluvioni, a causa del dissesto idrogeologico a cui ha contribuito il consumo di suolo. Il consumo di suolo è andato avanti in modo sostenuto, indipendentemente dalle dinamiche demografiche (la popolazione italiana è stabile dagli anni ’80). Vuol dire che sono altri i fattori che agiscono: nuovi modelli produttivi, regolamentazione urbana scriteriata, speculazione immobiliare. La crisi economica, che si è manifestata a partire dal 2008, ha solo rallentato il consumo di suolo, ma non lo ha fermato. Ma il consumo di suolo non è solamente sottrazione di terreno agricolo, ma va a incidere su clima, ecosistemi, capacità di assorbimento dell’acqua, erosione. I cambiamenti climatici in atto impongono di fermare il consumo di suolo.

L’Unione europea è arrivata a stabilire un obiettivo: l’azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050. È una scadenza lontana, ma l’obiettivo rischia di rimanere sulla carta, se non si opera in modo adeguato. Nel 2017, una petizione per fermare il consumo di suolo rivolta al Parlamento europeo e portata avanti da 200 associazioni in tutta Europa, ha raccolto 212 mila firme. In Italia le Associazioni che si erano impegnate (Legambiente, Coldiretti, Acli, Fai, Lipa, Slow Food) hanno raccolto 82 mila firme. La petizione, pur non raggiungendo il milione di firme necessario a impegnare il Parlamento europeo in un atto legislativo, rappresenta una importante iniziativa che non può essere ignorata. In Europa, solamente Francia, Germania e Gran Bretagna hanno una legislazione per regolare il consumo di suolo. In Italia manca una legge nazionale. Il disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo, che era stato approvato alla Camera nel maggio 2016, si è arenato al Senato. C’è da dire che si trattava di un disegno di legge pieno di ambiguità e limiti. Si fissava l’obiettivo di arrivare entro il 2050 al consumo di suolo zero, ma non veniva stabilita alcuna gradualità. Si fissavano discutibili criteri di monitoraggio nel rilevarne il consumo. Si escludevano dal computo del consumo le aree destinate a servizi di pubblica utilità, le infrastrutture, gli insediamenti produttivi «strategici», le aree funzionali all’ampliamento di attività produttive esistenti, le zone di completamento di opere, tutti gli interventi connessi all’attività agricola. Né venivano considerate consumo di suolo tutte le trasformazioni operate nei centri urbani. Non veniva, ad esempio, considerato consumo di suolo, a Milano, l’intervento sull’area di Piazza d’Armi, posta tra San Siro e Baggio. Un’area di oltre 40 ettari (pari a 55 campi di calcio), di proprietà demaniale, su cui vi è una vegetazione spontanea e alcuni magazzini, che verrebbe in parte edificata e in parte ceduta all’Inter calcio per farne un centro sportivo.

Il Comune di Milano l’ha inserita come «area di trasformazione urbana» nel suo Piano Generale Territoriale e non sono state raccolte le richieste delle associazioni di tutelare l’area, salvaguardando il verde e istituendo parchi, orti botanici, vivai. Considerando che il Comune di Milano è in testa, fra tutti i comuni italiani, per suolo consumato (il 60% del territorio è cementificato), la richiesta appariva legittima e sensata. La situazione di Milano è riscontrabile in tutte le realtà urbane del paese. Un disegno di legge, dunque, che non andava nella direzione di fermare il consumo di suolo. Mancando una legge nazionale, la gestione del territorio è affidata a Regioni, Province, Comuni, con un proliferare di organismi e una miriade di strumenti urbanistici. I Ptr delle Regioni, i Ptcp delle Province, i Piani Territoriali Metropolitani delle città metropolitane, i Pgt dei Comuni. E si assiste a un gioco normativo in cui i Comuni considerano come suolo già consumato non solo quello già urbanizzato, ma anche quello urbanizzabile e per il quale vi è solo una previsione di trasformazione. Vengono così sfornati dai Comuni piani urbanistici sovradimensionati rispetto alle reali esigenze.

Questa è la realtà attuale. Ma nei Comuni, i cittadini e le associazioni che operano sul territorio possono svolgere un ruolo importante, chiedendo Piani di Gestione del Territorio in cui vi sia realmente una crescita zero nel consumo di suolo. Bisogna imporre politiche che portino alla rigenerazione del suolo consumato, che significa riuso del territorio urbano e sviluppo di nuove aree verdi. E’ necessario che i nuovi insediamenti avvengano su aree dismesse. Bisogna far passare il principio che un’area deve essere considerata consumata solamente quando l’urbanizzazione è conclusa. Ogni comune, inoltre, dovrebbe operare un monitoraggio costante del consumo di suolo, con l’obbligo di fornire annualmente i dati su suolo consumato e suolo rigenerato.