Lunedì 10 febbraio la Corte d’Appello di Parigi ha emesso una sentenza epocale: Teodorin Obiang Nguema Mangue, vicepresidente della Guinea equatoriale e figlio del presidente Teodoro Obiang, è stato condannato per appropriazione indebita di fondi pubblici, riciclaggio e abuso di proprietà. La sentenza, 3 anni di reclusione con pena sospesa e una multa da 30 milioni di euro da pagare subito, aggrava quella già emessa in primo grado (che sospendeva il pagamento della multa) e consegna alla storia giuridica francese ed europea un primato: quello del primo vice-capo di Stato straniero condannato in Europa per riciclaggio. A differenza della sentenza di primo grado, dell’ottobre 2017, è stato assolto dal reato di corruzione.

UNA SENTENZA SIMILE Nguema l’ha ricevuta negli Stati uniti, dove avrebbe riciclato decine di milioni di dollari in beni di lusso e memorabilia di Michael Jackson truffando i suoi soci d’impresa, tra cui l’italiano Roberto Berardi, e per cui fu elevata una sostanziosa multa, oltre che sequestrati tutti i beni tra cui una reggia a Malibu e una collezione di auto di lusso, uno yacht e due aerei privati. Multa mai pagata.

Anche i fatti parigini sembrano usciti dalla sceneggiatura di una serie tv: Nguema, nel corso degli ultimi 20 anni e ufficialmente da ministro delle Foreste (con uno stipendio da 35.000€ l’anno), ha riciclato in Francia la bellezza di 150 milioni di euro acquistando immobili, un appartamento imperiale di Avenue Foche di Parigi, nel 16° arrondissement con 101 camere, hammam e discoteca, ufficialmente sede dell’Ambasciata guineana in Francia, e beni mobili di lusso.

IL SEQUESTRO GIUDIZIARIO, è possibile trovare diversi video su YouTube, fu spettacolare con numerose supercar caricate su un camion in pieno giorno e quadri e statue caricate su diversi furgoni. L’indagine contro Nguema, aperta grazie alle denunce di associazioni anticorruzione come Sherpa France e Trasparency International, ha scoperchiato il vaso di Pandora custodito gelosamente dal clan di Mongomo, il gotha del potere politico in Guinea equatoriale. Nel paese africano infatti la popolazione vive, in media, con meno di 1 dollaro al giorno mentre l’élite al potere, tutti membri della famiglia Obiang e i loro accoliti, mantiene una vita sontuosa e il paese affamato.

Un paio di Ferrari della collezione Obiang durante il sequestro a Ginevra (foto Ap)

Una cleptocrazia capace di muoversi con astuzia in ambito internazionale, garantendosi un basso profilo: mentre la tensione tra Francia e Guinea equatoriale sale sempre di più, la Corte internazionale di giustizia fa pressioni perché venga spiccato un mandato d’arresto internazionale contro Nguema. Eppure il 9 febbraio, il giorno prima della sentenza parigina e a margine del 33esimo vertice dell’Unione Africana, il presidente Teodoro Obiang, al potere dal 1979, ha inaugurato ad Addis Abeba, in Etiopia, la nuova sede della Cissa (la Commissione dell’Unione africana di servizi di intelligence e sicurezza) nel cui atrio campeggia un busto in bronzo dello stesso Obiang. Pochi giorni prima sempre Obiang aveva emesso un decreto con cui la Guinea equatoriale stanziava 2 milioni di dollari di aiuti alla Cina per fronteggiare l’epidemia da Coronavirus nonostante la pesante recessione economica (-4,1% del 2019 secondo la Banca africana di sviluppo, -5% secondo il Fondo monetario internazionale).

TENTATIVI GIÀ VISTI IN PASSATO in occasione di altre crisi d’immagine della dittatura guineana, per sviare l’attenzione dalle cose che contano: il primo nuotatore olimpionico africano, Moussambani, che quasi affogò in piscina a Sidney nel 2000 ma che «commosse il mondo», l’organizzazione di due edizioni consecutive di Coppa d’Africa (una durante la crisi Ebola in Africa occidentale del 2015), le frequenti sponsorizzazioni delle scuole di samba al Carnevale di Rio de Janeiro sono tutte mosse della propaganda del regime per sviare l’attenzione dagli scandali giudiziari in cui i membri della famiglia Obiang, e in particolare proprio Teodorin Nguema, sono protagonisti in Francia, Spagna, Svizzera, Stati uniti. Non in Italia, dove risultano depositate da anni due denunce contro Nguema presso gli uffici della procura di Roma e dove Nguema viaggia spesso, tra Portofino e la Costiera Amalfitana, pubblicando foto sul suo attivissimo profilo Instagram.

«OGGI NON SI PUÒ FARE giustizia in Guinea equatoriale» dichiara al manifesto Tutu Alicante, direttore e fondatore della ong EG-Justice, la più importante associazione di difesa e promozione dei diritti umani in Guinea equatoriale con sede a Washington. «Con questa sentenza la Francia manda un segnale importante, un forte messaggio di speranza a tutti gli equatoguineani: quello che nemmeno Teodorin, che pensa di possedere il mondo, può sfuggire alla giustizia. Nessuno è eternamente al di sopra della legge». E cosa cambia in Guinea Equatoriale? «La figura di Nguema e del clan di Mongomo sono come felini feriti. Questo caso indebolisce Teodorin anche in Guinea (è il successore designato dal padre come futuro presidente, nda)». Non a caso la repressione del governo è, in questi tempi, tutta contro la giustizia interna: «Negli ultimi due mesi due giudici sono stati arrestati e incarcerati, uno di loro è stato quasi ucciso dopo numerose sessioni di tortura. Questa settimana la polizia si è presentata a casa del presidente della Corte suprema nel tentativo di arrestarlo. È in atto una campagna di arresto e intimidazione nei confronti di persone ritenute nemici politici, chiunque sarà sospettato di aver criticato Teodorin o espresso favore verso la giustizia francese sarà preso di mira».

Internamente la propaganda fa il suo dovere. In un comunicato stampa firmato dal primo ministro il governo di Malabo afferma di aver vinto contro i francesi perché Teodorin ha evitato la prigione ma, nel frattempo, lo stato di polizia si è scatenato: «Nonostante il Fondo monetario internazionale abbia erogato un prestito invitando il governo a garantire l’indipendenza della magistratura, rinforzare lo stato di diritto e garantire i diritti le cose peggioreranno molto nei prossimi mesi – prevede Alicante -. Obiang e il suo entourage cercano di proteggere Teodorin. L’Fmi chiede anche che i funzionari di governo dichiarino le proprie attività e i propri beni: nessuno del clan di Mongomo lo farà» .

Teodorin Obiang all’Onu (Ap)

«LA FAMIGLIA OBIANG-NGUEMA – prosegue – ha imparato l’arte della cleptocrazia transnazionale acquistando il favore dei media e influenzando le pubbliche relazioni, sia a livello regionale che internazionale. Hanno perfezionato l’arte di utilizzare le entrate petrolifere per acquisire un impero commerciale internazionale, in tutto il continente africano e anche oltre, che dovrebbe mantenerli comodamente al potere per i decenni a venire».

A meno che i partiti di opposizione e i cittadini guineani non chiedano in modo nonviolento e a gran voce, magari sostenuti dalla comunità internazionale e dai media, che il cambiamento avvenga e avvenga ora.