La scadenza del 15 ottobre, data a partire dalla quale il Green pass sarà necessario per lavoratrici e lavoratori, mette in apprensione il governo quasi quanto i lavoratori. A preoccupare l’esecutivo non sono tanto i diecimila No Vax visti in piazza a Roma, tanto meno con i vertici di Forza Nuova in condizioni di non nuocere. I numeri che danno pensiero a Palazzo Chigi sono quei sette milioni di persone in età lavorativa non vaccinate che dal 15 ottobre potranno entrare in azienda solo con un tampone ogni 48 ore. Il sistema dei test però rischia di non reggere l’urto di numeri così grandi.

STABILIRE QUANTE sono esattamente i lavoratori bisognosi di tamponi periodici non è facile. Secondo la fondazione Gimbe, i lavoratori non vaccinati sono tra i 4 e i 5 milioni. A Palazzo Chigi si parla di cifre leggermente più basse: 2,2 milioni tra i soli dipendenti delle aziende private. Aggiungendo la pubblica amministrazione, che però potrà rimanere in smart working fino al 30 ottobre, il totale si avvicinerebbe ai tre milioni. Troppi: immaginando per ciascuno di loro un tampone ogni due o tre giorni, la capacità diagnostica italiana non basterebbe. Secondo Nino Cartabellotta, presidente del Gimbe «bisognerebbe fare 12-15 milioni di tamponi a settimana e questo non sarebbe proprio fattibile perché non abbiamo questa capacità produttiva». Al picco di marzo si sono toccati i 378 mila test in 24 ore, cioè poco più di 2,5 milioni di tamponi a settimana: cifre lontanissime dal fabbisogno atteso. Molti lavoratori rischiano di rimanere senza Green pass per mancanza di tamponi.

La disponibilità dei test, per altro, non è omogenea sul territorio. In molte grandi città, trovare una farmacia in cui fare un test non è difficile: «Posso rassicurare i cittadini napoletani che nelle farmacie aderenti non troveranno alcuna difficoltà nella somministrazione dei tamponi», spiega Riccardo Maria Iorio, presidente di Federfarma Napoli. I medici di base invece fanno resistenza: «È giusto farlo al paziente che ha sintomi, per capire se ha il Covid o l’influenza, o al paziente che è stato a contatto con un positivo», dice Silvestro Scotti, segretario del principale sindacato dei medici di famiglia (Fimmg). «Ma non fare un tampone per dare un Green pass a una persona che non si vaccina, adducendo motivi che alla base non hanno nulla di scientifico».

TRA I SETTORI in cui il nodo è più delicato ci sono le forze dell’ordine. Circa un terzo degli agenti di polizia penitenziaria risulta non vaccinata. Nella polizia di Stato va appena meglio, ma sono comunque 18 mila su 98 mila gli agenti non vaccinati. «In ragione dell’elevato numero di prenotazioni previste – dice il segretario del sindacato di polizia Coisp – servirà almeno una settimana di attesa per riuscire a sottoporsi al tampone». Di qui una proposta-choc: «Estendere la validità dei tamponi rapidi ad almeno 96 ore», ancora più delle 72 richieste anche dal segretario leghista Matteo Salvini. Difficilmente il ministero della Salute accetterà.

IL POSSIBILE INFARTO dei servizi diagnostici rompe il fronte dei pro-pass. Il presidente di Confindustria Emilia Valter Caiumi ha già parlato di «slittamento di 15 giorni» per l’entrata in vigore della norma e di «test a carico delle imprese», facendo eco al collega del Veneto Leopoldo Destro. Il presidente nazionale Bonomi per ora «non vuole sentire parlare di rinvii» ma anche lui si smarca dalla linea Draghi: «Era molto chiaro che Confindustria era favorevole all’obbligo vaccinale ma il Governo ha ritenuto che l’obbligo per legge era troppo dirompente».

L’OPERAZIONE Green pass gestita a colpi di annunci dal generale Figliuolo e dallo stesso premier ha dato scarsi risultati sul piano delle vaccinazioni. Il calo delle nuove dosi iniziato a luglio non si è mai arrestato. Nell’ultima settimana i nuovi vaccinati giornalieri sono scesi sotto quota 50 mila: numeri così bassi non si toccavano da febbraio, sotto la gestione Arcuri. Nel complesso, la campagna è stata un successo e ha rispettato l’obiettivo di vaccinare l’80% della platea entro fine settembre. A fallire è stata la scommessa tutta draghiana sul Green pass, a cui il governo si era affidato per l’ultimo miglio. E ora la bomba a orologeria pensata dal premier per i lavoratori rischia di scoppiare in mano al governo.