È fallito il tentativo repubblicano di far deragliare l’accordo Usa-Iran nel senato americano. La leadership Gop aveva introdotto una mozione contraria al trattato di non proliferazione nucleare fra Tehran e le sei nazioni raggiunto dopo le trattative di Ginevra condotte dal segretario di stato Kerry. Contro l’accordo, i repubblicani hanno mobilitato la maggioranza che detengono in senato ed hanno ottenuto 58 voti rispetto ai 42 favorevoli dei democratici – due in meno quindi dei 60 che avrebbero costituito la supermaggioranza necessaria per superare anche il veto preventivamente annunciato da Obama.

Col voto di giovedì, dunque, la ratifica dell’accordo con Tehran è virtualmente assicurata e Obama incassa un’altra vittoria politica di un mandato da “anatra zoppa” che si conferma come il più fruttifero della sua presidenza. La vittoria è tantopiù significativa data la veemenza con cui l’opposizione aveva dato battaglia. La lobby israeliana rappresentata dalla Aipac (American Israel Public Affairs Committee) ha speso decine di milioni di dollari nel tentativo di raccogliere i voti anti-accordo. Gli sforzi alla fine hanno prodotto quattro franchi tiratori fra i democratici fra cui Chuck Schumer di New York che ha definito il proprio «tradimento» «una questione di coscienza» (definizione dietro la quale si cela con ogni probabilità la forte influenza che l’elettorato filo israeliano ha nel suo stato).

Se la mozione fosse passata, Obama avrebbe apposto il veto e le sorti della “distensione” iraniana si sarebbero giocate nel tentativo di ribaltarlo con un’ulteriore votazione. Invece i repubblicani registrano un’ennesima sconfitta rimediata perdipiù da partito di maggioranza in entrambe le camere. Dalla prima elezione di Obama 2008, il Gop ha perseguito una strategia di opposizione a oltranza ad ogni tentativo di riforma, a cominciare da quella della salute nel 2008. L’ostruzionismo sistematico è stato la cifra di un’opposizione che mirava a sabotare il presidente democratico e a riprendersi la Casa Bianca nel 2012. Fallito quel tentativo, la politica del muro contro muro intrapresa per esacerbare le divisioni del paese e sfruttare il malcontento per la crisi, ha portato alla grande vittoria repubblicana nei midterm dello scorso anno. Le maggioranze decisive conquistate dal partito di destra sia alla camera che in senato sembrarono allora presagire due anni di paralisi politica.

Contro quei pronostici, gli ultimi 12 mesi si sono invece rivelati il periodo più prolifico per Obama che ha imposto una serie di iniziative di politica interna su inquinamento atmosferico, salari minimi, e, in parte, immigrazione. In politica estera, il trattato con l’Iran ha fatto seguito ad un’apertura sulla Birmania e soprattutto alla normalizzazione dei rapporti con Cuba. In ogni caso i decreti esecutivi adottati da Obama sono stati aspramente criticati dai repubblicani che nel caso iraniano sono giunti ad invitare unilateralmente il premier israeliano Benjamin Netanyahu ad esprimersi contro l’accordo nel parlamento Americano. Ma non è bastato e il gruppo filo israeliano liberal “J Street” ha rotto le fila esprimendosi a favore del trattato.

L’apertura all’Iran è stata accolta con favore dalla diaspora iraniana, una popolazione numerosissima soprattutto in California che intravede i benefici anche economici di una distensione fra i due paesi. D’altro canto la “pace” verrà senz’altro impugnata dai repubblicani nella campagna presidenziale come sintomo di “debolezza” democratica e promette di essere benzina sul fuoco dell’imminente nuova battaglia parlamentare sulla spesa pubblica. Rimane inconfutabile tuttavia che l’inizio di apertura all’Iran rappresenta il primo vero dato col potenziale di modificare gli equilibri disastrosamente calcificati dello scacchiere mediorientale. In questo quadro rappresenta una sconfitta altrettanto cocente per Netanyahu. Tecnicamente i repubblicani avrebbero fino al 17 settembre per tornare al voto e cercare di convincere altri due democratici a votare contro l’accordo, ma sembra improbabile ormai che questo possa accadere.