Kim Jong-un, stando a quanto affermato dagli esperti informatici Usa, avrebbe dunque vinto: ha evitato la proiezione di un film in cui sarebbe stato preso in giro e ha causato un danno economico non da poco ad un’azienda del mondo imperialista e capitalista yankee. The Interview» cancellato, danni economici non da poco per la Sony e più di tutto una perdita di immagine: l’azienda verrà ricordata per essersi piegata a Pyongyang. L’ultima novità al riguardo, è arrivata ieri, dallo scrittore brasiliano Paolo Coelho. In un tweet indirizzato alla Sony, Coelho ha offerto 100 mila dollari per i diritti del film The Interview, la cui programmazione era stata cancellata dalla Sony a seguito di un attacco informatico che fonti Usa avrebbero riconosciuto come «nord-coreano» e considerato un serio pericolo alla sicurezza nazionale.

E ora arriva anche la presa di posizione del presidente Obama che stigmatizza l’operato della major – come scrive Giulia D’Agnolo -: «È stato fatto un errore, avrebbero dovuto avvisarmi». Ad una soluzione aveva pensato anche il Wall Street Journal, ieri, dopo aver denunciato – se fossero confermati i sospetti americani – la straordinaria vittoria informatica di Pyongyang. Il Wsj suggerisce a Obama di acquistare come Stato i diritti del film e rilasciarlo in modo che chiunque possa «sherarlo», facendolo così diventare di pubblico dominio. La questione, però, economicamente parlando, è molto seria.

La cancellazione del film ieri ha pesato su Sony, i cui titoli alla Borsa di Tokyo hanno chiuso a -1,29%, in netta controtendenza sul Nikkei (+2,39%). Il danno dello stop alla pellicola con James Franco e Seth Rogen – infine – è quantificato fino a 100 milioni di dollari come mancati introiti, in base a stime di settore. Ma nel mondo dell’immagine e della comunicazione, è il brand a rischiare un tracollo in termini internazionali. Secondo Bruce Bennett, senior analyst del think tank Rand ed esperto delle vicende nordcoreane, la mossa di Sony può costituire un pericolo precedente. «Gli stranieri che vogliono fermare l’uscita di un film possono ora seguire l’esempio di questi hacker. Questo – ha aggiunto – è pericoloso per gli Usa».
Buone notizie – invece – per i leader di Pyongyang: «Non volevano che il film uscisse e soprattutto non ne vogliono la diffusione in dvd che potrebbe finire in Corea del Nord, come accaduto in altri casi, con una descrizione di Kim Jong-un che non coincide con la propaganda del regime.

La pellicola ha fatto infuriare Pyongyang fin da giugno, già al momento della diffusione del trailer, al punto da minacciare una pesante reazione anche contro l’amministrazione Usa se non avesse impedito «un atto di terrorismo e di guerra» contro la massima leadership nordcoreana». Ma cosa – e quando – è successo? Possibile che la Corea del Nord sia in grado di rappresentare, attraverso suoi presunti esperti informatici, un pericolo come fu l’11 settembre per gli Stati uniti? Tutto ha avuto inizio a novembre, il 22, quando i dipendenti Sony registrarono malfunzionamenti nei propri computer aziendali. Si diede la colpa « problemi informatici», una scusa sempre valida per gli amministratori di sistema. Poi è venuto fuori che si sarebbe trattato di un malware, un software malevolo, una cosa un po’ più seria rispetto ad un banale malfunzionamento.

Un attacco che avrebbe rivelato, secondo quanto raccolto dagli esperti di Sony e del governo americano, una buona conoscenza dell’infrastruttura tecnica dell’azienda e che avrebbe «succhiato» dati sensibili di una certa rilevanza. Secondo gli analisti americani l’origine dell’attacco sarebbe stata la Corea del Nord, come confermato anche ieri dall’Fbi, o meglio un team di esperti informatici allevati a Pyongyang e poi sguinzagliati in giro per il mondo a fare danni.

Secondo alcuni l’attacco sarebbe partito dalla Cina. Secondo altri i Guardiani della Pace, questo il nome denunciato dai media americani, avrebbe operato da un hotel in Thailandia. Asia contro Usa, ancora una volta: per questo Washington ha fatto sapere che cercherà di rispondere a questi eventi.

Dall’attacco all’azienda, alle minacce al film che avrebbe costituito per la Corea un «atto di guerra», poiché ironizzerebbe sul leader del paese, l’attuale presidente, il passo è stato breve. Fin da subito, agli attacchi informatici si sono accompagnate le minacce di attentati sullo stile «dell’11 settembre» nei cinema che avessero proiettato The Interview». Infine la decisione dell’azienda di annullare la premiere a Ny e la programmazione su tutto il territorio nazionale.