L’accordo sul programma nucleare iraniano non è dietro l’angolo. Lo ha confermato ieri il presidente degli Stati uniti, Barack Obama, secondo il quale, si andrebbe ad uno slittamento di sei mesi per la stesura finale dell’intesa, prevista per il 20 luglio, dopo l’accordo preliminare siglato a Ginevra il 24 novembre 2013. «L’Iran ha mantenuto le promesse sul programma nucleare», ha assicurato Obama, echeggiando le parole dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea) che lo scorso aprile aveva confermato lo sforzo di trasparenza di Tehran.

Eppure nel Congresso, le voci di Repubblicani (e molti Democratici) sono ben più critiche. 344 parlamentari Usa hanno firmato una lettera per Obama chiedendo di essere ascoltati in tema di nucleare iraniano. Il Senato Usa è pronto poi ad approvare una delle leggi più dure contro l’Iran degli ultimi anni, inasprendo le attuali sanzioni contro il programma nucleare e mettendo sotto controllo gli introiti iraniani sulla vendita del petrolio. Il tentativo è non solo di impedire un’estensione dei colloqui ma di farli fallire del tutto.

La scorsa settimana, pur assicurando il suo sostegno per i negoziatori iraniani, l’ayatollah Ali Khamenei aveva chiesto 190mila centrifughe per il programma nucleare, ben al di sopra delle 10mila concesse, secondo i colloqui di Vienna. L’Iran non vorrebbe cedere neppure sullo sviluppo di centrifughe di nuova generazione (IR-2m). E vorrebbe mantenere attivo il reattore ad acqua pesante di Arak per la produzione di radio isotopi per ricerca in campo medico e agricolo.

Neppure la crisi irachena ha avvicinato l’accordo sul nucleare. Khamenei aveva tuonato contro ogni cooperazione tra Stati uniti e Repubblica islamica. Gli Usa hanno «manipolato le divisioni settarie in Iraq per trasformare il paese in uno stato fantoccio», ha detto Khamenei. Mentre hanno pesato sui colloqui la crisi in Ucraina e gli ingenti accordi energetici siglati tra Mosca e Tehran. Secondo il docente di Etica dell’Università di Toronto, Ramin Jahanbegloo, la difficoltà nello sciogliere i nodi centrali per mettere fine alle sanzioni contro l’Iran favorisce l’asse Mosca-Tehran. «Da una parte, l’Iran cerca di trovare un nuovo alleato forte nella Russia di Putin, dall’altra, Tehran è pronta a sostenere Mosca con i suoi alleati islamici nella regione. Dal canto suo, la Russia assicurerà un pieno sostegno politico all’Iran», ha aggiunto il docente al manifesto.

E così, prosegue il braccio di ferro tra moderati, del presidente Hassan Rohani, e radicali, vicini a Mahmoud Ahmadinejad. Con l’avvento del presidente tecnocrate, ormai più di un anno fa, il sistema giudiziario e l’intelligence militare hanno iniziato una campagna contro la società civile iraniana che ha colpito stampa, università, social network, rallentando le promesse di aperture avanzate da Rohani alla vigilia della sua elezione. A conferma dei limiti imposti ai tecnocrati, la Guida suprema, Ali Khamenei ha riattivato il Consiglio strategico, che include personalità politiche e intellettuali, nominando uomini del suo entourage. Secondo il giurista ultra conservatore Ghorbanali Najafabadi, Khamenei ha l’intenzione di impedire ad altre correnti politiche, anche moderate, l’ingresso all’interno dell’Assemblea degli Esperti, che avrà il compito problematico di nominare la nuova Guida suprema, dopo la sua scomparsa.

Infine, la nota giornalista iraniana Marzieh Rasouli è stata condannata a due anni di prigione e cinquanta frustate per diffusione di notizie contrarie all’«ordine pubblico» e «propaganda anti-regime». Rasouli, giornalista riformista dei quotidiani Sharqh prima e Etemad poi, per anni corrispondente dagli Stati Uniti, venne arrestata già nel 2012 con l’accusa di aver lavorato per Bbc Persian e i servizi di intelligence britannica. A insorgere contro l’arresto di Rasouli è stato anche il filosofo statunitense Noam Chomsky che ha chiesto il rilascio immediato della giornalista.

Chomsky, dalle colonne de The Guardian, ha parlato di «arresto inaccettabile» chiedendo che siano rivisti i casi di altre due giornaliste in prigione: Saba Azarpeik e Reyhaneh Tabatabaei. Secondo Reporters Without Borders, sono 64 i giornalisti e i blogger detenuti arbitrariamente nelle carceri iraniane.