Lo aveva fatto per la riforma sanitaria e per l’ordine esecutivo che avrebbe firmato legalizzando temporaneamente milioni di migranti: quando il Congresso gli volta la schiena, Obama scavalca il press corp della Casa bianca e porta le sue iniziative on the road, direttamente all’America. Dopo l’annuncio di martedì a Washington, è la volta della sua battaglia con le armi. Prima tappa, in coincidenza con l’uscita sul New York Times di un un editoriale, la George Mason University in Virginia, dove Obama ha presenziato un town hall televisivo, trasmesso live da CNN e condotto da Anderson Cooper. Il pubblico in sala era scelto tra i rappresentanti di entrambe «le fazioni». Ma la National Rifle Association, invitata da CNN, ha rifiutato di esserci («non riteniamo necessario partecipare a un’iniziativa promozionale della Casa bianca» dice il loro comunicato). È andata però a un’eroina della lobby delle armi,

Taya Kayle (vedova dell’American sniper Chris Kayle), la prima domanda. All’appassionata difesa del diritto alla pistola per difendere la famiglia, espressa dalla signora, Obama ha risposto con un aneddoto: «Io vengo da Chicago, dove le morti per armi da fuoco stanno facendo stragi di minorenni. La prima volta che sono stato in Iowa, per una campagna presidenziale, a un certo punto Michelle si è girata e mi ha detto: Sai cosa? Se vivessi qui, in una fattoria isolata, lontano dallo sceriffo, e con il rischio che un malintenzionato si presenti alla porta, forse un’arma la vorrei anch’io.. Le diverse realtà del nostro paese rendono questo un problema molto complesso».

Seduto informalmente su uno sgabello alto, il pubblico disposto a trecentosessanta gradi intorno a lui, il presidente ha mantenuto lo stesso tono, fermo ma colloquiale, rassicurante, per tutta la serata, tornando spesso sui temi elencati nell’annuncio dell’altro giorno: il bisogno di chiudere i loopholes (le zone grigie dell’attuale legislazione che permettono il commercio quasi incondizionato di armi via internet e presso i gun show, le fiere di settore), di studiare tecnologie per rendere le pistole più sicure, di investire nella cura delle malattie mentali…

Tra i suoi interlocutori, un famoso sceriffo, una donna stuprata che vuole armarsi, un teen-ager di Chicago che ha perso il fratello e, insieme al marito astronauta, Gabrielle Gifford, la deputata dell’Arizona crivellata di proiettili un paio di anni fa. Reiterando la promessa fatta nell’editoriale uscito oggi sul New York Times, Obama ha annunciato che non darà il suo sostegno ai candidati («anche quelli democratici») che si oppongono a delle «misure ragionevoli di gun control».
L’enfasi che il presidente ha messo, sia ieri che alla Casa bianca, sul contesto elettorale non è gratuita. Considerata per anni una crociata politicamente dannosa, quella per il controllo delle armi conta oggi dalla sua alcuni sponsor molto importanti, tra cui Michael Bloomberg.

È proprio dall’ex sindaco di New York – e dal suo gruppo Everytown for Gun Safety – che viene un’altra pedina di questa strategia della comunicazione che (come il town hall del presidente) sta cercando di raggiungere gli americani in modo diverso. Con l’aiuto di Spike Lee (un fan storico della pallacanestro, il cui ultimo film, Chi-raq, tratta proprio l’effetto devastante della violenza d’arma da fuoco a Chicago), i capitali di Bloomberg sono infatti serviti a produrre una serie di spot (diretti da Lee) i cui alcune star della Nastional Basketball Association (tra cui Carmelo Anthony, Stephen Curry dei Golden State Warriors, Chris Paul dei Los Angeles Clippers) parlano dell’effetto delle violenza da arma da fuoco sulle loro vite. Nel primo degli spot, andato in onda il giorno di Natale, non vengono nemmeno pronunciate le parole «gun control».

E i portavoce della NBA hanno dichiarato che la campagna pubblicitaria «non promuove nessuna legge o cambio di politica», ma va intesa come un public service announcement «per portare attenzione sul problema della sicurezza personale nelle nostre comunità». Certo, il messaggio dello spot, tra le righe, è molto chiaro, e l’entrata nel dibattito della NBA e dei suoi giocatori un passo di grandissima importanza, in quello che sembra star delineandosi come il primo sforzo congiunto, a livello nazionale, di costruire un’alternativa sofisticata alla micidiale macchina promozionale della NRA.