In una giornata fino alla sera prima priva di impegni, Obama ha convocato il Consiglio di sicurezza nazionale per discutere della situazione in Turchia dopo il fallito golpe militare. Oltre a ciò le autorità americane hanno sospeso i voli delle compagnie aeree americane verso Ankara e Istanbul e interdetto tutti i voli provenienti dalla Turchia. In quanto la sicurezza all’aeroporto Ataturk di Istanbul «è notevolmente diminuita», l’ambasciata americana in Turchia ha vietato ai suoi funzionari di utilizzarlo.

Un funzionario Usa ha dichiarato alla Cnn che le autorità turche hanno chiuso lo spazio aereo attorno alla base aerea turca e della Nato e che quindi le missioni americane contro Isis sono momentaneamente sospese. La chiusura dello spazio aereo della base Nato è stata giustificata dal governo turco con la necessità di riprendere il controllo della situazione nell’area, dopo il fallito golpe di ieri. La base Nato in questione è l’aeroporto Usa più importante del Medio Oriente ed è utilizzata da tutta la coalizione anti-Isis guidata dagli Usa per intervenire in Siria e in Iraq: non ci sono solo uomini e veivoli militari americani ma anche inglesi, tedeschi, sauditi.

Durante la notte Obama e il segretario di Stato Kerry, che si trova al momento in Russia, avevano rilasciato una dichiarazione congiunta in cui, senza mai nominarlo, avevano dato il proprio supporto a Erdogan. «Tutti i partiti in Turchia dovrebbero sostenere il presidente democraticamente eletto – si legge nel comunicato – ed evitare violenze e spargimenti di sangue».

Questo momento di accordo è durato pochissimo. Secondo Erdogan e il suo primo ministro, Binali Yildirim, dietro a questo golpe c’è la mano di Fethullah Gulen, che da 17 anni vive in auto esilio negli Stati uniti. «Non riesco a immaginare un paese che possa sostenere quest’uomo – è stata la dichiarazione di Yilsrim – è il leader di un’organizzazione terroristica, soprattutto dopo la scorsa notte. Un paese che lo sostenga non è amico della Turchia. Sostenerlo sarebbe persino un atto ostile nei nostri confronti».

La risposta è arrivata da Kerry che ha dichiarato come l’America sia pronta ad aiutare nelle indagini riguardo il tentato golpe e ha invitato la Turchia a mostrare delle prove a sostegno degli inizi che mostrano la colpevolezza di Gulen.

Kerry ha anche precisato che, contrariamente a quanto sostenuto da Yildirim, gli Stati uniti non hanno mai ricevuto una richiesta di estradizione per il capo religioso. La delicata situazione turca è comprensibilmente entrata anche nella campagna elettorale in corso. Poco dopo la dichiarazione congiunta di Kerry e Obama, Hillary Clinton, tramite Twitter, ha espresso un pensiero simile, che sottolineava una possibile continuità di fatto con l’amministrazione in corso. «Dobbiamo tutti invocare la calma e il rispetto per le leggi, le istituzioni, i diritti civili e la libertà e supportare i rappresentanti democraticamente eletti – si legge nella dichiarazione diffusa da Clinton sul social network – Tutti i partiti dovrebbero lavorare per far sì che si evitino ulteriori violenze e spargimenti di sangue».

A brillare per la propria assenza, durante la notte, è stato proprio il loquace Donald Trump, che ha avuto solo qualche commento per la propria campagna elettorale, come se in Turchia non stesse avvenendo assolutamente nulla, in gran contrasto con tutte le dichiarazioni rilasciate il giorno precedente commentando le vicende di Nizza. Solamente sabato mattina, durante la presentazione ufficiale del proprio vice, il governatore uscente dell’Indiana, Mike Pence, avvenuta a Manhattan, Trump si è espresso così riguardo il mancato golpe: «Sembra che in Turchia stiano risolvendo le loro difficoltà, noi gli auguriamo ogni bene, ci sono buone speranze che vada tutto per il meglio».

Il mancato colpo di Stato turco ha evidenziato, ancora una volta, la differenza sui temi di politica estera dei due candidati, dove una ha fatto lo stesso lavoro che ora fa Kerry, mentre l’altro non ha nessun tipo di preparazione su come gestire il potere degli Usa nei confronti del resto del mondo.