In piedi, dietro ad un podio posto al centro dello studio ovale, Obama si è rivolto alla nazione in un discorso «straordinario». Una scenografia progettata per proiettare soprattuto l’immagine di un comandante in capo «sul ponte di commando» dopo i caotici reportage che per una settimana dalla California hanno trasmesso la sensazione opposta. In un discorso moderato, specie alla luce dell’effetto francese sull’Europa, il presidente americano ha ribadito il conflitto con Isis ma ha nuovamente respinto la narrazione della guerra all’islam – i concetti di un Obama pensiero che sono tuttavia parsi logori, e un pallido riflesso del suo discorso al Cairo – sei anni e una vita fa.

Obama ha parlato per poco meno di un quarto d’ora ufficializzando definitivamente la strage di San Bernardino come fatto di terrorismo islamico e ricordando che gli Stati uniti «sono in guerra coi terroristi sin dall’11 settembre 2001». Da allora, ha proseguito il presidente, intelligence e national security hanno «prevenuto e sventato innumerevoli complotti terroristi». Ma San Bernardino ha spiegato Obama, in quanto frutto di apparente «radicalizzazione volontaria», rientra in una tipologia più insidiosa, specie perché in questo caso ha adottato il mass shooting, le stragi di inermi che sono «troppo comuni nella nostra società». Il presidente ha quindi nuovamente polemizzato con la lobby delle armi: «quale possibile argomento potrebbe permettere ad un sospetto terrorista di acquistare un’arma semiautomatica?» si è chiesto, invocando ancora una volta una battaglia destinata probabilmente a rimanere invincibile.

Accusato il colpo jihadista al cuore della America, Obama ha comunque ribadito che gli Stati uniti saranno in grado di sconfiggere il «cancro dell’estremismo». Il «piano» in quattro punti che ha poi esposto non contiene però sostanziali nuovi elementi strategici e rimane incentrato sui bombardamenti in Siria. Truppe americane non verranno nuovamente spedite al fronte, ha puntualizzato Obama, perché questo sarebbe un regalo ai nemici: possiamo vincere, ha concluso, senza «spedire una nuova generazione di americani a combattere e morire in terra straniera».

Invece ha detto il presidente «il nostro esercito continuerà a dare caccia senza tregua a terroristi in qualunque paese essi si trovino» aggiungendo che i nuovi «contributi» di Francia, Inghilterra e Germania aiuteranno ad accelerare la distruzione di Isis. Con l’ausilio di forze speciali «continueremo inoltre ad addestrare decine di migliaia di truppe anti-Isis in Siria ed Iraq» ha detto ancora il presidente, ribadendo una componente finora del tutto fallimentare della politica americana . «Dopo gli attacchi di Parigi abbiamo intensificato le operazioni di intelligence e lavoriamo con la Turchia per sigillare il confine con la Siria», un riferimento che ribadisce l’appoggio incondizionato ad Ankara e risponde indirettamente alle accuse di collusione con l’Isis mosse dalla Russia. In questo elenco l’unico elemento con un nesso ipotetico ai fatti di San Bernardino è stato l’annuncio di un possibile giro di vite sul rilascio di visti come quello avuto da Tashfeen Malik per raggiungere il marito in California.

Quasi esattamente 74 prima, all’indomani dell’attacco a Pearl Harbor Roosevelt annunciava col discorso del «giorno dell’infamia» l’entrata degli Usa i una guerra che spaccava il mondo in due.

Il discorso di Obama è servito a ribadire ancora una volta l’intrattabile complessità dell’attuale scenario multipolare. È stato fin troppo facile insomma per i repubblicani schernire il presidente (e di riflesso la sua ex segretario di stato Hillary Clinton) come «inefficaci». I candidati a succedergli, che hanno nella psicosi e nello stesso Isis, il loro migliore alleato elettorale, hanno offerto prevedibili proclami di guerra totale e appelli all’autodifesa armata. Donald Trump si è concentrato sulla timidezza di Obama invocando una buona volta appunto la guerra ai musulmani. Rubio e Bush hanno chiesto l’invio immediato di truppe. Un barlume, forse involontario, di ragione lo ha espresso il libertarian Rand Paul quando ha detto: «dobbiamo smettere di armare e addestrare gli alleati di Al Qaeda e Isis».