Abbiamo stentato a riconoscere Obama nell’uomo che ieri notte dalla Casa bianca ha annunciato agli Stati uniti e al mondo intero, una nuova guerra. Che fine ha fatto quel Barack Obama del discorso del Cairo del giugno 2009, quando invitava alla democratizzazione del medio Oriente, promettendo il ritiro delle truppe americane dall’Iraq e da tutte le guerre, e che si emozionava perfino per i palestinesi rimasti senza patria?

Stavolta ha parlato senza alcuna memoria delle tante promesse. Né delle responsabilità e dei “risultati” nefasti delle guerre americane in Iraq e in Afghanistan e in Libia. Così il premio Nobel per la pace si è trasformato nel fumetto di «Captain America» nel doloroso anniversario dell’11 settembre 2001, quando l’America si scoprì vulnerabile. Tornando nella scia bellica bipartisan dei presidenti Usa, da Bush a Bill Clinton del militarismo umanitario – quello che invece anche per papa Bergoglio «ha fatto tanti danni all’umanità».

Ci sarà dunque un’altra guerra dichiarata – perché i raid Usa sono in corso da due settimane – in Iraq e stavolta anche in Siria; coraggiosa ma dall’alto dei cieli, niente uomini a terra che poi ti ritornano in bare elettoralmente improponibili. Perché, dice Obam, l’America è così benedetta da dio che non può non porsi alla guida della lotta contro il Male, il nuovo «Grande Satana», che una volta era l’Unione sovietica ora è rappresentato dallo Stato islamico (Is), che «uccide bambini, tortura e strupra donne»; così benedetto da dio che guida il mondo contro il terrorismo e che, sempre grazie a dio, ha fermato «l’aggressione russa all’Ucraina» (farebbero carte false, e infatti le fanno, se fosse vera in realtà, oltre gli sconfinamenti di entrambe gli esrciti sul limite del confine, non è mai stata confermata, basta sentire l’Osce che davvero è dentro il territorio). Ecco dunque «la nostra strategia» contro chi attacca l’America.

Pressato dalle elezioni di midterm che si apporssimano, dall’emergere del ruolo presidenziale di Hillary Clinton, dalla diplomazia da guerra fredda dei Repubblicani, cade nella trappola dell’Arabia saudita che ha inventato di sana pianta l’integralismo salafita combattente e ritrova anche l’altro «nemico», l’Iran invece nel pieno di novità e soluzioni diplomatiche. E come un automa, Obama azzera la memoria necessaria a comprendere la sequenza di causa ed effetto degli avvenimento mediorientali. Se torna a bombardare il territorio iracheno, almeno dovrebbe riconoscere che tre guerre Usa – sanguinose, con centinaia di migliaia di vittime che naturalmente valgono meno dei 2.900 morti delle Torri gemelle – hanno preparato l’attuale disastro e il conflitto tra sciiti, sunniti e kurdi.

E resta una vergogna la sua dimenticanza di un altro, recente, 11 settembre, quello del 2012 a Bengasi. Quando i jihadisti che al soldo e alle armi degli Usa avevano abbattuto Gheddafi, si rivoltarono contro l’uomo prima di intelligence e poi ambasciatore Usa, Chris Stevens, uccidendolo. Uscirono di scena per questo proprio il Segretario di Stato Hillary Clinton e l’allora capo della Cia Petraeus. Quella in LIbia era stata la prima guerra di Obama, prima recalcitrante poi tirato dentro dalla Nato e da Sarkozy. Ora tutti hanno compreso il legame strettissimo tra santuari, militari e ideologici, della Cirenaica e guerra in Siria, dove non è stato possibile ancora far fare ad Assad la fine del raìs.

Lo Stato islamico nasce da queste fonti, supportato dal sostegno di Arabia saudita, Qatar quando no direttamente dagli Usa che hanno inviato con gli altri «amici occidentali della Siria», fino al gennaio di quest’anno, finanziamenti e armi all’intero fronte (jihad e Els) che combatteva e combatte contro Damasco. E poi dovrebbe spiegare in primo luogo a se stesso, com’è che l’uccisione di Osama bin Laden, vantata come «la fine di al Qaeda» ha al contrario provocato con la nascita dell’Isis una nuova articolazione, perfino generazionale e di movimento, dell’integralismo qaedista. Una sola mezza verità Obama l’ha detta quando ha spiegato che per esistere l’Isis «approfitta del malcontento».

Allora c’è il malcontento in Medio Oriente? Forse alludeva al disastro delle Primavere arabe, al golpe contro i Fratelli musulmani, oppure, più credibilmente alla tragedia palestinese e ai tanti «bambini» uccisi dai raid israeliani a Gaza giustificata da Washington come «diritto alla difesa». Non lo sappiamo, perché Barack Obama stavolta ha semplicente taciuto sulla questione palestinese. pronto ad inscrivere l’esercito israeliano nella strategia della nuova guerra contro il «Male».

Obama dunque torna in guerra in Iraq, non esce dal pantano afghano, bombarda la Siria aiutando Assad che voleva abbattere con un’altra guerra fermata dall’«aggressore» Putin, rilancia la guerra fredda atlantica in Europa preoccupato dell’autonomia della fragile Unione europea. Nonostante la benedizione di dio, per Obama è una missione fallita.