E’ andata come previsto. Barack Obama ieri non ha mancato di usare l’elogio funebre di Shimon Peres, al cimitero del Monte Herzl di Gerusalemme, davanti ai leader di una ottantina di Paesi (non c’era Putin, perchè?), per indirizzare una condanna indiretta della politica nazionalista e oltranzista del premier israeliano Benyamin Netanyahu. Quando il presidente americano ha preso la parola, dopo gli interventi del capo dello stato Rivlin, dello scrittore Amos Oz, di Bill Clinton, dei familiari di Peres e di Netanyahu, mentre ancora riecheggiavano le note del brano “Avinu Malkeinu” cantato da David D’or, il premier israeliano ha ostentato tranquillità. Sapeva però che Obama si sarebbe tolto qualche altro sassolino dalla scarpa dopo otto anni rapporti personali a dir poco difficili. «Il popolo ebraico non è nato per governare un altro popolo», ha proclamato Obama in evidente riferimento all’occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi. «Non credo che Peres fosse un ingenuo – ha aggiunto – Israele ha vinto tutte le guerre ma non quella maggiore: quella di non aver più bisogno di vincere».

Obama, tracciando la figura di Peres, di fatto ha voluto rimarcare la differenza che tra l’idea dei palestinesi che aveva l’ex presidente israeliano morto tre giorni fa e quella di Netanyahu. Peres, ha spiegato, «insisteva nel vedere tutti gli esseri umani come aventi diritto alla medesima dignità, inclusi i palestinesi i quali, secondo lui, hanno diritto all’eguaglianza e alla sovranità». Poi ha ammorbidito, ma solo un po’, l’attacco esaltando l’impegno di Peres per la sicurezza e la difesa di Israele. «Per il suo senso di giustizia – ha proseguito Obama – e per la sua analisi delle condizioni di sicurezza di Israele, Peres comprese che per la difesa di Israele i palestinesi devono avere un proprio Stato». Con la morte di Shimon Peres, ha concluso Obama, «per Israele si chiude un periodo storico e il suo futuro è ora affidato nelle mani della nuova generazione». Poi si è avvicinato al feretro, ha appoggiato la mano e ha pronunciato in ebraico «Todà rabbà, haver yakar (Grazie tanto, caro amico)», echeggiato la frase di addio che l’allora presidente Usa Bill Clinton rivolse a Yitzhak Rabin assassinato nel 1995 da un nazionalista religioso ebreo. Tornando al suo posto il presidente americano si è limitato ad un saluto gelido del premier israeliano e di sua moglie Sara.

Netanyahu che poco prima aveva scambiato, dopo anni, una stretta di mano con il presidente dell’Anp, Abu Mazen, unico leader arabo presente ai funerali di Peres – non c’erano neanche i rappresentanti dei palestinesi d’Israele -, ha provato ad anticipare e ad ammortizzare l’urto delle parole che dopo qualche minuto avrebbe pronunciato Obama, accreditando una sua recente e profonda amicizia con il presidente scomparso dopo anni di scontri e di far apparire Peres più un garante della sicurezza di Israele che un negoziatore e un uomo di pace. «Lo splendido Shimon Peres – ha affermato – ha fatto cose incredibili per garantire il nostro potenziale di difesa ma in parallelo ha fatto tutto quanto gli era possibile per raggiungere la pace con i nostri vicini». Non ha negato le differenze politiche con Peres ma, ha detto, «nel corso degli anni siamo diventati amici. Shimon, ti ho amato».

Il risveglio tardivo di un Obama determinato, in apparenza, a regolare qualche conto aperto con Netanyahu, è il segnale di quel “colpo di coda” del presidente americano che tanto temono, almeno a dar credito al quotidiano Haaretz, nell’ufficio del primo ministro israeliano? È difficile dirlo. L’inquilino della Casa Bianca ormai è agli sgoccioli del suo mandato e difficilmente, per ragioni istituzionali, vorrà o potrà vendicare sino in fondo lo sgarbo che gli fece Netanyahu a marzo 2015 quando, aggirando l’Amministrazione, rivolse davanti al Congresso un attacco durissimo all’accordo sul programma nucleare iraniano tanto cercato da Obama nonostante la posizione fortemente contraria di Israele. E comunque, sgambetti di Netanyahu a parte, il presidente Usa ha assicurato allo Stato ebraico un accordo decennale di aiuti militari statunitensi per 38 miliardi di dollari. Tuttavia il contenuto politico dell’elogio funebre di Peres, potrebbe anticipare un nuovo passo di Obama, dopo le elezioni che proclameranno nuovo presidente Hillary Clinton o Donald Trump, e prima della fine dell’anno. Si parla di un via libera dell’Amministrazione uscente alla conferenza internazionale su Israele e Palestina che il presidente francese Hollande intende convocare entro il 2016 e che è vista come fumo negli occhi da Netanyahu che insiste per un negoziato (peraltro inesistente) soltanto bilaterale con i palestinesi.

Mentre i funerali assumevano, come prevedibile, un carattere politico, Shimon Peres è stato sepolto non lontano dalla Tomba del suo compagno di partito e rivale Yitzhak Rabin.