Quando Barack Obama metterà piede sul suolo cubano stasera all’aeroporto José Marti, diventerà il primo presidente americano a farlo in quasi 90 anni fa. L’ultimo prima di lui fu Calvin Cooldige che sbarcò da una corazzata della marina Americana all’ancora nella rada della capital. Obama invece arriverà con l’aereo presidenziale con tutto il protocollo di una visita di stato. Anche questo un inedito secolare dato che ogni precedente «visita» americana dal 1898 aveva preso la forma di un invasione o spedizione militare. Al tempo della visita di Coolidge nel 1928, Cuba era già da trent’anni un protettorato degli Usa che l’avevano annessa dopo la Guerra Ispano-americana del 1898 – e per altri 30 sarebbe rimasta divertimentificio di mafie e piantagione per zuccherifici americani sotto la dittatura fantoccio di Fulgencio Batista.

Alla rivoluzione del 1959, l’ingombrante vicino del nord reagì col catastrofico tentativo di restaurazione armata naufragato nella Baia dei Porci (1961) e 50 anni di embargo commerciale che rimane in vigore come anacronistica reliquia di guerra fredda e di una faida postcoloniale la cui ostinazione ha minato i rapporti degli Usa con tutta l’America Latina.

Sono gli antecedenti che rendono a dir poco significativa la détente obamiana, una apertura che si fonda certo su presupposti di globalismo liberista, ma che ribalta una politica americana fossilizzata in articolo di fede. Il disgelo gli è valso non a caso la feroce opposizione degli irriducibili repubblicani che hanno giurato di non concedere mai il necessario placet parlamentare ad abolire il bloqueo. Lo stesso Obama ha ammesso ancora questa settimana che non sarà lui ad apporre quella storica firma («lo farà il prossimo presidente»). Ma in questi due giorni sigla comunque con un giro d’onore uno dei risultati più concreti del suo mandato, un processo di avvicinamento che spera di rendere fatto compiuto e quindi irreversibile prima della fine del proprio mandato.

Nelle intenzioni di Obama molti altri voli provenienti dagli Stati uniti seguiranno negli anni a venire quello di Air Force One. Le trattative per le licenze sulle rotte sono già in corso fra il governo cubano e le aerolinee statunitensi; diverse, almeno tre, sono inoltre le società di navigazione che hanno fatto domanda per iniziare la navigazione commerciale fra Cuba e Miami, a novanta miglia di distanza. All’Avana Obama viaggerà con una delegazione compreso il sindaco di Miami, dirigenti della Marriott e della Xerox. I colossi cellulari AT&T, Sprint e Verizon mirano a contratti di telefonia mobile. Un costruttore di trattori leggeri dell’Alabama il mese scorso è diventato la prima impresa Americana ad ottenere iI permesso di aprire uno stabilimento a Mariel.

Già dopo l’iniziale annuncio a dicembre la International Association of Outsourcing Professionals, gongolava alla prospettiva di un nuovo potenziale serbatoio cubano di operatori di call center «meglio dell’India». Lo scorso autunno la borsa Nasdaq ha sponsorizzato a New York il Cuba Opportunity Summit con la partecipazione di numerose multinazionali, il ministro americano del commercio ed il vice segretario di stato Roberta Jacobson. A pregustare impazientemente la «primavera cubana» insomma non è solo l’industria del turismo di massa. Comparti come l’agricoltura industriale concupiscono il potenziale di esportazione, una volta sollevate le sanzioni verso un mercato sostanzialmente vergine. Il disgelo cubano ha fatto venire l’acquolina in bocca a Silicon Valley alla prospettiva di un infrastruttura digitale da costruire da zero, AirBnB ha annunciato l’avvio di operazioni cubane.

Oltre al «discorso ai cubani» previsto al Gran Teatro de la Habana, l’incontro con Raul Castro e coi dissidenti e l’udienza col cardinale Ortega, uno dei momenti più significativi sarà forse la partita di martedì fra i Rays di Tampa Bay e le nazionale cubana. Un momento di baseball diplomacy insieme alle ulteriori riforme annunciate la scorsa settimana accanto ai voli postali diretti: l’abrogazione delle norme contro l’impiego di cittadini cubani in Usa mirato soprattutto a normalizzare il flusso di fuoriclasse del baseball che militano nel campionato Mlb.

Intanto la visita ha dato nuovo impulso alla diaspora cubana. Negli ultimi tre mesi del 2015 sono stati oltre 12.000 i Cubani immigrati negli Stati uniti attraverso il varco di Laredo, in Texas. Nell’anno in corso se ne attendono fino a 50.000, un flusso aumentato ora che una normalizzazione dei rapporti potrebbe porre fine ad una altra aberrazione: mentre sulla stessa frontiera centinaia di migliaia di centroamericani vengono detenuti e deportati, i cubani godono ancora di un asilo automatico e un anno di sussidio pubblico.

Fra tutte le incognite a questo punto quella cruciale riguarda la successione di Obama a cui verranno affidati i futuri sviluppi dei rapporti. La situazione politica che Obama si lascia alle spalle a questo riguardo è vieppiù caotica. C’è un unica certezza: chiunque dovesse essere, il viaggio a Cuba è destinato a venire ricordato come un ulteriore ragione per cui la fine del mandato di Obama lascerà un vuoto.